mercoledì 24 settembre 2014

L’epilogo dell’asse con la politica 
E alla Ducati il sindacato è già oltre.


Corriere della Sera 24/09/14
corriere.it

Avremo tutto il tempo per formulare un giudizio ponderato sulla Cisl di Raffaele Bonanni e su cosa abbia rappresentato in questi anni, di sicuro l’annuncio con il quale il leader sindacale anticipa di almeno sei mesi la sua uscita assume, nel mezzo della battaglia sull’articolo 18, un valore simbolico. Segna uno spartiacque tra il sindacalismo dello scambio politico e la costruzione di una nuova rappresentanza fondata sulle discontinuità della fabbrica, dei territori e del lavoro. Bonanni in questi anni, ma forse ancor più nelle ultime settimane, ha tentato disperatamente di tenere insieme l’intero sindacato, logorandosi nel tentativo di distinguersi dalla Cgil e al tempo stesso di sfilare assieme. In passato il gioco gli era riuscito perché si era costruito di volta in volta una sponda politica, ora ha capito che da Matteo Renzi non la avrà. E di conseguenza piuttosto che rimanere a bagnomaria, e andare a rimorchio di Susanna Camusso, Bonanni ha scelto di anticipare il cambio.

L’impressione però è che siamo solo al primo atto di un processo che potrebbe ridisegnare l’identikit del sindacalismo italiano. Un piccolo muro è caduto. È vero che la successione è già pronta e Annamaria Furlan sarà la prima segretaria generale della Cisl ma onestamente nemmeno i dirigenti della confederazione sanno cosa accadrà dopo. Nel Dna cislino c’è sempre stata la capacità di anticipare il cambiamento, di leggere le trasformazioni della società e ricavarne la bussola degli indirizzi sindacali. Da tempo però quest’abilità si è offuscata, si è consumato anche quello straordinario retroterra culturale che aveva prodotto uomini come Pierre Carniti, Bruno Manghi e Tiziano Treu. Se una colpa Bonanni l’ha avuta è stata quella di ridurre l’azione della Cisl a una sorta di politique d’abord, lasciando cadere l’attenzione al sociale proprio quando la Grande Crisi avrebbe richiesto un sovrappiù di ricognizione e di accompagnamento.

Mentre a Roma si consumava un colpo di scena, ieri da Bologna arrivava una notizia che faremmo bene a non sottovalutare. I sindacati (compresa la Fiom!) e la Ducati, società del gruppo Volkswagen, hanno sottoscritto un accordo che prevede il passaggio da 15 a 21 turni settimanali, il lavoro domenicale, un investimento di 11,5 milioni di euro e l’assunzione a tempo indeterminato di 13 operai specializzati. Per la prima volta nel comunicato che dà conto dello «storico accordo» (testuale, ndr ) accanto alle valutazioni aziendali ci sono, in grande evidenza, le dichiarazioni dei segretari di Fiom-Fim-Uilm dell’Emilia Romagna. È la riprova che il sindacato più si allontana dal gioco politico più contribuisce a costruire soluzioni per tutti. La strada da battere è questa e il caso Ducati non è una mosca bianca: sono decine e decine le intese firmate in fabbrica per gestire le ristrutturazioni, aumentare l’efficienza e sperimentare un nuovo tipo di tutele (il welfare aziendale). Lontano dagli inutili convegni romani del Cnel e con meno presenze nei talk show, il sindacalismo italiano può, dunque, tentare di riannodare il filo con la società italiana e i giovani.

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