Corriere della Sera 11/07/15
Francesco Verderami
Non si sa quanti fossero i parlamentari
azzurri che l’altro giorno stavano ad ascoltarlo, è certo che
durante l’incontro riservato l’ex coordinatore di Forza Italia ha
anticipato la linea che «sarà legata ai movimenti di Renzi sulle
riforme».
In attesa dell’«ora X», Verdini ha offerto un
quadro del leader democratico, a metà strada tra il profilo
psicologico e l’analisi politica: «Datemi retta, non è tipo
disposto a galleggiare. Non frequenta salotti, non si è fatto rapire
dal ponentino romano. O farà quanto ha in mente o se ne tornerà a
casa senza consultare il partito, la famiglia, gli imprenditori...
Denuncerà che non gli è stato consentito cambiare il Paese e
saluterà. Lo conosco: aspettiamoci una reazione forte sulle riforme.
E chi pensa che sarà disposto ad accettare una mediazione, avrà
brutte sorprese. Non ci saranno patti, nessuna trattativa. A quel
punto il problema non sarà suo ma di tutti gli altri. Vedremo chi si
aggregherà. Noi voteremo sì».
Appuntamento dunque per l’«ora
X», che «scatterà in settembre». Sarà allora che si compirà il
disegno. Il cerimoniere del Nazareno è parso pronto a salutare
Berlusconi, e soprattutto a lasciare un partito in cui si sente «in
forte disagio»: «Non sono d’accordo su niente, non mi piace
nulla. Un giorno stiamo con Tsipras sull’Europa, il giorno dopo
stiamo con la Camusso sulla scuola... Stiamo con chi capita, alla
giornata». D’altronde è questa la condizione in cui versa Forza
Italia, «diventata — a giudizio di Verdini — irrilevante sia
sotto il profilo elettorale sia sotto il profilo politico», e perciò
destinata a un «progressivo e inesorabile declino». Perché —
ecco il punto — «una forza aggregante non può sopravvivere se
diventa una forza aggregata». Chi stava ad ascoltarlo giura che
Salvini non è stato citato. Non ce n’era bisogno.
Non era
questo il finale di partita che aveva previsto per Berlusconi,
probabilmente Verdini non aveva ancora previsto per lui un finale. La
condizione in cui si trova è dovuta — manco a dirlo — alla
rottura del patto con Renzi. Una colpa scaricata sui «nuovi
consiglieri» dell’ex premier: «Prima l’hanno portato allo
sfascio e ora tentano di recuperare. Sento parlare di Nazareno 2,
Nazareno 3... Sono tentativi sterili di chi, resosi conto di aver
commesso una follia, cerca vie d’uscita. Ma non credo che Silvio
possa e voglia tornare sui propri passi. Anzi, è un miracolo che
stia ancora in piedi».
A Berlusconi riconosce «la forza e il
talento di un Maradona», a cui andrebbe dato «un pallone d’oro
alla carriera». Invece gli hanno affibbiato una condanna che è
«surreale»: «Tutti sanno com’è caduto Prodi. Lo sa persino
Prodi. Già si reggeva con il puntaspilli e i voti dei senatori a
vita. Dopo l’arresto della moglie del suo ministro della Giustizia
gli è saltato il governo. Ma allora, quando stava ancora a Palazzo
Chigi, l’unico nel centrodestra convinto che sarebbe entrato in
crisi era Silvio: né Fini né Casini ci credevano. E fece un
capolavoro con la svolta del predellino, che impose con la forza
della politica. Certe cose però le fai quando sei determinante...».
Dicono che in quel momento Verdini abbia sospirato, con sincera,
partecipata e teatrale compostezza.
Ma il «pallone d’oro alla
carriera» sa di fine corsa. Su Renzi invece l’analisi è stata
diversa: «Diciamolo — ha detto ai presenti — lui è una vera
novità nella politica. Nel senso che rispetto agli altri non è tipo
disposto a traccheggiare, a prender tempo. Va dritto». E se è vero
che a forza di andar dritti si rischia prima o poi lo schianto, è
altrettanto vero — così parlò Verdini — che «un’alternativa
a Matteo non c’è. E questa è anche la sua fortuna». Perciò i
boatos su un cambio in corsa alla guida del governo, la lista dei
suoi possibili successori a Palazzo Chigi, sono esercizi di fantasia
che più prosaicamente vengono definite «masturbazioni politiche di
Palazzo».
C’è Renzi, ci sono le riforme, e ci sarebbe poi un
«progetto per ricostruire un’area che elettoralmente potrebbe
valere il venti per cento». Ciò che resta del vecchio Pdl però non
sembra in grado di realizzarlo, «sbagliano tutti — secondo Verdini
— anche gli amici centristi. Nessuno pensa che debbano lasciare il
governo, non è il tema. Ma lo si vuol capire o no che in questa
legislatura possiamo fare solo manovre parlamentari e non manovre
politiche? Perché leader in giro non ce ne sono. E allora sarebbe
necessario che tutti facessero un passo indietro per dar vita a
un’aggregazione. Per ora si può contare su molti deputati e
senatori ma su pochi voti. Per il futuro le potenzialità sarebbero
invece enormi».
In attesa dell’«ora X», Verdini ieri si è
trincerato dietro una rappresentazione estemporanea della Turandot,
così da non dover smentire o confermare la riunione: «Nessun
dooorma/nessun dooorma». Ed è stato inutile chiedergli quanti
fossero i parlamentari azzurri presenti all’esibizione: «Ma no,
c’era solo il mio amico Mazzoni ad ascoltarmi». Prima che si
interrompesse la conversazione si è però sentito distintamente:
«Ecco... Scrivete che eravamo solo in due che è meglio». Clic.
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