lunedì 27 luglio 2015

Il piano sugli scioperi: referendum obbligatorio per i mini-sindacati.


Corriere della Sera 27/07/15
Lorenzo Salvia
Il disegno di legge è stato depositato al Senato due settimane fa, il 14 luglio, anniversario della rivoluzione francese. «Solo una coincidenza» ride Pietro Ichino (Pd). Ma è in quei quattro articoli il succo della riforma sugli scioperi che la maggioranza sta preparando d’intesa con il governo, come annunciato dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. «Abbiamo avuto diversi incontri — racconta Ichino, primo firmatario del testo — per discutere come intervenire». E il quadro sembra definito. Secondo il disegno di legge, che ne aggiorna uno già presentato da Ichino nel 2008 ed è simile a quello depositato da Ncd con Maurizio Sacconi, per fare uno sciopero in una singola azienda ci sono due strade. 
 La prima è che venga proclamato da uno o più sindacati che rappresentano il 50% più uno dei dipendenti. La seconda è che, anche se promosso da un sindacato minoritario, superi un referendum tra i lavoratori dell’azienda, con il 50% dei sì fra i votanti e un quorum del 50% dei dipendenti. «Per capirsi — spiega Ichino — uno sciopero come quelli di Alitalia o della metro di Roma in questi giorni non sarebbe consentito». Perché? La protesta Alitalia di venerdì scorso era stata proclamata dal sindacato autonomo dei piloti: una sigla fortissima tra i piloti ma molto lontana dal rappresentare il 50% di tutti i dipendenti Alitalia. E anche per la metro bastano i soli macchinisti a bloccare tutto. 
 Una di queste due strade — maggioranza sindacale o referendum — va seguita anche se lo sciopero riguarda un intero settore, come il trasporto pubblico. Ma non è complicato consultare tutti i lavoratori di una categoria? «Se si può fare in Germania o in Inghilterra — risponde Ichino — si può fare anche qui. Ed è anche un modo per sottolineare l’eccezionalità di una forma di protesta che ormai è diventata routine , uno strumento per il regolamento di conti fra sigle». La relazione che accompagna il ddl si apre con una frase di Vittorio Foa, uno dei padri del sindacato in Italia. L’assemblea costituente stava discutendo proprio del diritto di sciopero, che tornava dopo il fascismo. E lui lo definiva uno strumento da usare «con grande misura e parsimonia». Non è andata così. In Italia ci sono migliaia di scioperi l’anno, l’80% al venerdì o al lunedì con il pratico effetto del week end lungo. 
 Il ddl, al momento, riguarda solo il trasporto pubblico. Ma potrebbe essere esteso anche ai beni culturali come suggerito dal ministro Delrio. «È una questione di buon senso: se si gestisce un patrimonio dell’umanità, si svolge un servizio per il mondo intero: più servizio pubblico di così...». E le assemblee a sorpresa, come quelle di Pompei? «Il diritto non si discute — afferma Ichino — ma va esercitato in forme e tempi compatibili con le esigenze del servizio. Come avviene già oggi nel settore dell’elettricità o del gas». 
 Il governo condivide tutto ma preferisce non metterci il cappello sopra. Anche per evitare che il tutto si riduca ad uno nuovo capitolo del match fra Renzi e i sindacati. Ma non c’è il rischio che, in un Parlamento intasato da decreti legge e voti di fiducia, un semplice disegno di legge di iniziativa parlamentare rimanga fermo, proprio come gli autobus di Roma? «Il rischio c’è — dice Ichino — ma nell’ultimo anno tutti i ddl seri, anche quelli di iniziativa parlamentare, hanno camminato molto più in fretta, come dimostra anche il testo sulle unioni civili». E lui dice di essere ottimista: «Cgil Cisl e Uil hanno capito che le regole attuali danneggiano anche loro, favorendo le sigle più spregiudicate. Del resto Cisl e Uil hanno già firmato con la Fca di Marchionne un accordo aziendale che applica lo stesso principio di democrazia sindacale previsto nel nostro ddl. E quello non è nemmeno un servizio pubblico».

Nessun commento:

Posta un commento