Corriere della Sera 05/07/15
Sergio Rizzo
Neppure stavolta mancherà chi di
fronte a calcoli del genere scrolla le spalle, riesumando il
formidabile aforisma di quel Pier Peter impersonato dieci anni orsono
dal comico Antonio Albanese: «L’economia è una cosa troppo seria
per lasciarla fare agli economisti». Ma qui purtroppo c’è davvero
poco da ridere.
I numeri, innanzitutto. Baldassarri parte dal
presupposto che sprechi e corruzione siano direttamente proporzionali
all’andamento della spesa pubblica corrente. E per valutare che
cosa sarebbe accaduto dal 2002 al 2014 se si fosse davvero dichiarata
la guerra a questa piaga ha fatto due ipotesi, entrambe agganciate a
drastici interventi sulla spesa pubblica corrente. La prima, il
taglio secco di 45 miliardi, da destinare per 40 miliardi alla
riduzione delle tasse (25 di Irap e 15 di Irpef) e per 5 miliardi
agli investimenti. La seconda il congelamento della spesa corrente ai
livelli del 2002 e l’eliminazione dei 25 miliardi di trasferimenti
a fondo perduto.
Le proiezioni sono impressionanti. In tredici
anni il Pil sarebbe salito da un minimo di 128 a un massimo di 141
miliardi. I posti di lavoro sarebbero cresciuti fino a un milione e
180 mila posti di lavoro, con un deficit pubblico ridotto fino a 105
miliardi e un debito pubblico ridimensionato di una somma enorme:
compresa fra 530 e 840 miliardi.
E la lotta all’evasione,
continua la simulazione di Baldassarri, avrebbe fatto il resto. In
questo caso l’ipotesi è una sola: controlli incrociati severissimi
utilizzando tutte le banche dati disponibili e l’introduzione di
meccanismi di deduzione per alimentare il conflitto d’interessi. Il
concetto è semplice: se so che posso detrarre dalle tasse il conto
dell’idraulico, gli chiederò la fattura e lui pagherà le tasse.
Grazie a questo piano d’azione, stima l’economista, sarebbe stato
possibile recuperare una decina di miliardi circa per dieci anni
consecutivi. Con il risultato che il nostro Pil potrebbe essere ora
più alto di 95 miliardi e il debito pubblico più basso di 266.
Fosse andata davvero così, chiosa il documento che viene presentato
domani a Roma, l’Italia avrebbe potuto rispettare senza alcuna
difficoltà il «famigerato» Fiscal compact e la nostra economia,
navigherebbe in acque ben più tranquille: con un Prodotto interno
lordo superiore del 17 per cento circa a quello attuale.
Se poi a
tutto questo si fosse aggiunta una condizione astrale favorevole,
ovvero un euro non così sopravvalutato rispetto al dollaro, ecco che
si sarebbero schiuse le porte del paradiso. Secondo il rapporto del
centro studi Economia reale il super-euro ci è costato dal 2002 al
2014 ben 168 miliardi di Pil e 403 miliardi di debito pubblico.
Ma purtroppo non è andata così. E Baldassari, che per ben cinque di
quegli anni ha avuto una responsabilità diretta, come viceministro
dell’Economia del governo di Silvio Berlusconi, non esita a
ricordare nel rapporto anche quella fase piena di scelte controverse
e titubanze, e poi di contrasti nell’esecutivo, con minacce di
dimissioni reciproche mai portate a compimento, sfociati in una pace
che non ha portato a nessun cambiamento concreto. Tanto sul piano
della lotta agli sprechi e alla corruzione quanto su quello del
contrasto vero all’evasione. «Perché non si è mai fatto nei
quindici anni passati e non si profila tuttora che qualcuno intenda
farlo, almeno per i prossimi cinque anni?», si chiede Baldassarri.
«Semplice: è un nodo squisitamente e profondamente politico, o
meglio è un nodo di interessi contrapposti. Da un lato ci sono i
circa 2 milioni di italiani che in tutti questi anni hanno continuato
a prosperare ed accumulare patrimoni illeciti con gli sprechi e le
ruberie di spesa pubblica e con l’evasione fiscale. Dall’altro
lato ci sono gli altri milioni di italiani che hanno subito e
subiscono la crisi e la disoccupazione con prospettive disarmanti per
i giovani che scappano sempre più all’estero. Questi ultimi hanno
perso tra il 2002 ed il 2014 circa 250 miliardi di Pil, hanno subito
il raddoppio della disoccupazione e nonostante le sempre precarie
condizioni della nostra finanza pubblica, hanno anche subito pesanti
aumenti della tassazione».
Una situazione, conclude il rapporto,
destinata a non durare a lungo senza gravi conseguenze. «L’Italia
potrà anche galleggiare, ma certamente il Paese continuerà a subire
un processo di bradisismo economico e sociale».
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