Corriere della Sera 02/07/15
Gianni Santucci
Il coordinatore dei combattenti
«stranieri» che bramano di unirsi al Califfato fornisce istruzioni
scrupolose. Comprensive di marche e modelli: «Non portare con te
computer, laptop e telefonini intelligenti, come iPhone o Samsung
Galaxy».
L’aspirante mujaheddin ha ancora qualche dubbio prima
del viaggio: «Fratello, non ho capito, non dobbiamo partire con i
telefonini?». Il colonnello del Califfo, Ahmed Abu Alharith, dalla
Siria non perde la pazienza: «Puoi venderli in Libano, compra un
piccolo telefonino, come il Nokia, solo per fare telefonate e per
contattarmi quando arrivi in Turchia. L’altro tipo di telefoni è
vietato all’interno dello Stato».
L’intercettazione del 4
gennaio scorso restituisce in diretta la forza dell’organizzazione
che da tempo invita e accoglie circa mille foreign fighters al mese
nei ranghi dell’Isis. I poliziotti dell’antiterrorismo della
Digos di Milano, guidati per oltre un decennio dal dirigente Bruno
Megale, sono una delle squadre investigative più esperte e
qualificate d’Europa. Ma non s’aspettavano, seguendo le tracce
della convertita Maria Giulia Sergio, di ritrovarsi ad ascoltare la
voce di uno dei massimi dirigenti dello Stato Islamico: il suo
reclutatore.
Gli smartphone sono facilmente localizzabili dagli
investigatori. Dunque, un pericolo. Da qui, l’obbligo: prima
dell’arruolamento, vanno abbandonati. Oltre che una necessità
operativa, la dismissione della più moderna tecnologia diventa gesto
simbolico: uomini e donne che entrano nella prospettiva del martirio.
Il telefonino di Abu Alharith agganciato dalla polizia è uno
snodo, porta dritti dentro la quotidianità del centro di
smistamento. La sua utenza turca è in contatto con 22 numeri di
Afghanistan, Algeria, Bosnia, Marocco, Arabia Saudita, Georgia,
Libia, Libano, Francia, Oman, Svezia, Iraq, Svizzera e San Marino. A
quel cellulare fanno riferimento il coordinatore dei combattenti
dalla Libia alla Siria e il responsabile dei «francesi» per l’Isis.
Le richieste di arruolamento si accalcano. Flusso continuo. La lingua
araba non è un ostacolo. Intorno a quel cellulare c’è sempre
qualcuno pronto a dare assistenza in diverse lingue. Nessun
combattente deve restare indietro. Sono state registrate
conversazioni in inglese, francese, russo, svedese. Solo scorrendo i
tabulati di quel cellulare si può avere un’idea della massa di
mujaheddin pronti a partire da Europa, Medio Oriente e Maghreb per
sbarcare a Istanbul con un volo low cost . Quella della Digos di
Milano è la prima inchiesta che svela il meccanismo dall’interno.
Sostegno completo. Soldati volontari guidati come bambini.
Direttive dopo l’arrivo in Turchia: «Compra una scheda telefonica
turca. Una Turkcell da un’ora. Poi vai alla stazione dei bus, sei
capace? Prendi un taxi e gli dici autogar , cioè il capolinea». Il
combattente si trova probabilmente in una città di confine
Turchia-Siria. Ultimo accorgimento per passare: «Fratello, prepara
un foglio e una penna — conclude il coordinatore — si tratta di
due parole da ricordare. Richiamami». Bisogna partire solo con una
valigia, perché per tutto il resto provvederà il welfare dell’Isis
grazie al ghanim’tum , il bottino di guerra.
Passati in Siria,
uomini e donne saranno inviati nei centri di smistamento o
addestramento. Una donna chiama da un cellulare spagnolo e chiede
perché le compagne russe arrivate dal Belgio siano passate dalla
città di Gaziantep e lei invece no: «Trattano le sorelle in base
alle loro origini. Hai capito?». Il «corrispondente» libico viene
maltrattato: «In Libia c’è stato già il riconoscimento dello
Stato Islamico, quindi non c’è più bisogno di inviare fratelli in
Siria. Possono operare in Libia, e anche in Tunisia». La motivazione
delle partenze la sintetizza il gip di Milano, Ambrogio Moccia,
quando spiega che dall’inchiesta emerge «l’assoluta
obbligatorietà della jihra (emigrazione) verso lo Stato Islamico e
la prospettiva della guerra e le gravissime conseguenze per chi,
essendo in condizioni di farlo, non la pratica».
Dalla «terra
promessa», Maria Giulia Sergio racconta estasiata che «i mujaheddin
lasciano casa, soldi, figli e vengono qui, e vanno a combattere...
Ragazzi di 15-16 anni che ammazzano 50 miscredenti, Allah è grande,
no?».
Viaggi che rappresentano anche un riscatto sociale. Gli
infedeli vanno eliminati. O comunque abbandonati. Come spiega
rabbiosa Maria Giulia al padre, per spingerlo a raggiungerla, dopo
una vita da operaio in provincia di Milano: «Sono loro che devono
essere nostri schiavi, non più noi. È finito il tempo del musulmano
che sta nella terra del miscredente, quello era il tempo
dell’ignoranza, adesso c’è il khalifa ».
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