venerdì 3 luglio 2015

Referendum, i sì ora superano i no Partita a scacchi per l’unità nazionale.


Corriere della Sera 03/07/15
corriere.it
È una sfida fra chi sente di non avere più niente da perdere, contro chi pensa di avere ancora molto o qualcosa almeno a cui non vuole rinunciare. Gli appelli dei leader ellenici o europei, e gli scenari del dopo ripetuti a ritmo martellante ogni giorno ad Atene o a Bruxelles, contano ormai meno del rapporto di forze nella società greca: chi è così esasperato da voler provare qualunque altro scenario — anche senza sapere quale — contro chi vuole ancora proteggere la stabilità del proprio posto di lavoro, quella della moneta che ha in tasca, un conto in banca, l’investimento nell’istruzione dei figli e la possibilità di restare europei a pieno titolo. 
 In un Paese con una disoccupazione in maggio al 25,6%, con i giovani fino a 25 anni al 52,4%, e salari e stipendi ai minimi di sopravvivenza, la risposta del referendum greco non è scontata. Coloro che si sentono privati dei diritti economici e ritengono di non aver altro da perdere — a torto a ragione — sono così tanti da poter dare battaglia fino in fondo. Gli ultimi sondaggi danno il «sì» in recupero, in reazione alla chiusura delle banche, al razionamento del contante agli sportelli automatici, alla limitazione a 120 euro ogni tre giorni per i pensionati senza bancomat e alle prime vere carenze di beni essenziali. 
 L’altro ieri il Carrefour di Marinopoulos, dietro il museo Benaki di Atene, non era più rifornito di prodotti base come pasta e legumi. La stampa greca riporta problemi simili ovunque, oltre alla difficoltà degli ospedali nel reperire medicinali e delle isole ad approvvigionarsi di carburante. Ad aggravare il quadro arriva il crollo del turismo dopo l’annuncio del referendum: l’Associazione ellenica delle imprese del settore parla di una caduta vertiginosa delle prenotazioni alberghiere, 50 mila in meno al giorno. 
 Sono questi i dettagli che possono cambiare, in un verso o nell’altro, il corso della politica in Grecia e in Europa nelle prossime settimane. Gli ultimi sondaggi danno il «sì» davanti al «no»: l’ultimo di Euro2day condotto da Bnp Paribas segnala i favorevoli al 43,5% e i contrari al 39,9%. Ma il margine è troppo stretto e la qualità dei rilevamenti troppo bassa per dare certezze. 
 Questo obbliga i politici ad Atene e nel resto d’Europa a prepararsi ad ogni scenario, anche perché gli esiti possibili non sono solo due, ma tre. Il primo è la vittoria del «no», che provocherebbe ripercussioni immediate sul sistema bancario ellenico. La maggioranza dei greci non sembra essersene ancora resa conto, ma con la vittoria del «no» i bancomat dopo qualche giorno smetterebbero di distribuire euro perché la Banca centrale europea non potrebbe più rifornirle. 
 Questa realtà e il fallimento di fatto dello stesso sistema bancario obbligherebbe il governo a introdurre una nuova valuta entro qualche giorno. È un’operazione complessa sulla quale i preparativi del governo sono solo embrionali. Il rischio che il Paese sprofondi nel caos esiste. Paradossalmente, a quel punto potrebbero essere proprio le autorità tedesche a dare una mano ai greci pur di aiutarli a uscire dall’euro al più presto. Gli scenari politici di una vittoria del «sì» sono però almeno altrettanto probabili, e sono due. Il primo, meno accreditato, è quello di un’affermazione schiacciante. Il governo si dimetterebbe subito e, visto lo stato ormai palese di emergenza del Paese, si correrebbe verso un patto di unità nazionale che riprenda i contatti con l’Europa per riattivare un robusto programma di prestiti contro riforme. Non è un caso se Antonis Samaras, l’ex premier conservatore, e il leader filo-europeo di Potami Stavros Theodorakis sono sprofondati in questi giorni in un silenzio assordante. Preparano il dopo, in contatto con le altre capitali. Il loro candidato premier è l’ex governatore George Provopoulos, e il compito di firmare un patto con i creditori sarebbe reso più facile da un «sì» schiacciante. 
 Il problema è che il «sì», qualora vinca, probabilmente non sarà schiacciante. In quel caso la Germania potrebbe frenare sull’intensità dei nuovi aiuti, per quanto disperatamente necessari adesso che l’economia greca ormai è in caduta libera. Il timore dei tedeschi è che Syriza faccia cadere fra pochi mesi un governo di unità nazionale, vada a elezioni, e torni al governo con le casse nel frattempo riempite di denaro europeo. 
 Dunque Berlino resterà prudente e Atene resterà probabilmente in bilico, nel migliore dei casi. Un «sì» può forse evitare il peggio. Ma la Grecia non è lontanamente vicina alla fine del suo dramma. 


Nessun commento:

Posta un commento