Corriere della Sera 03/07/15
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È una sfida fra chi sente di non avere
più niente da perdere, contro chi pensa di avere ancora molto o
qualcosa almeno a cui non vuole rinunciare. Gli appelli dei leader
ellenici o europei, e gli scenari del dopo ripetuti a ritmo
martellante ogni giorno ad Atene o a Bruxelles, contano ormai meno
del rapporto di forze nella società greca: chi è così esasperato
da voler provare qualunque altro scenario — anche senza sapere
quale — contro chi vuole ancora proteggere la stabilità del
proprio posto di lavoro, quella della moneta che ha in tasca, un
conto in banca, l’investimento nell’istruzione dei figli e la
possibilità di restare europei a pieno titolo.
In un Paese con
una disoccupazione in maggio al 25,6%, con i giovani fino a 25 anni
al 52,4%, e salari e stipendi ai minimi di sopravvivenza, la risposta
del referendum greco non è scontata. Coloro che si sentono privati
dei diritti economici e ritengono di non aver altro da perdere — a
torto a ragione — sono così tanti da poter dare battaglia fino in
fondo. Gli ultimi sondaggi danno il «sì» in recupero, in reazione
alla chiusura delle banche, al razionamento del contante agli
sportelli automatici, alla limitazione a 120 euro ogni tre giorni per
i pensionati senza bancomat e alle prime vere carenze di beni
essenziali.
L’altro ieri il Carrefour di Marinopoulos, dietro
il museo Benaki di Atene, non era più rifornito di prodotti base
come pasta e legumi. La stampa greca riporta problemi simili ovunque,
oltre alla difficoltà degli ospedali nel reperire medicinali e delle
isole ad approvvigionarsi di carburante. Ad aggravare il quadro
arriva il crollo del turismo dopo l’annuncio del referendum:
l’Associazione ellenica delle imprese del settore parla di una
caduta vertiginosa delle prenotazioni alberghiere, 50 mila in meno al
giorno.
Sono questi i dettagli che possono cambiare, in un verso
o nell’altro, il corso della politica in Grecia e in Europa nelle
prossime settimane. Gli ultimi sondaggi danno il «sì» davanti al
«no»: l’ultimo di Euro2day condotto da Bnp Paribas segnala i
favorevoli al 43,5% e i contrari al 39,9%. Ma il margine è troppo
stretto e la qualità dei rilevamenti troppo bassa per dare certezze.
Questo obbliga i politici ad Atene e nel resto d’Europa a
prepararsi ad ogni scenario, anche perché gli esiti possibili non
sono solo due, ma tre. Il primo è la vittoria del «no», che
provocherebbe ripercussioni immediate sul sistema bancario ellenico.
La maggioranza dei greci non sembra essersene ancora resa conto, ma
con la vittoria del «no» i bancomat dopo qualche giorno
smetterebbero di distribuire euro perché la Banca centrale europea
non potrebbe più rifornirle.
Questa realtà e il fallimento di
fatto dello stesso sistema bancario obbligherebbe il governo a
introdurre una nuova valuta entro qualche giorno. È un’operazione
complessa sulla quale i preparativi del governo sono solo embrionali.
Il rischio che il Paese sprofondi nel caos esiste. Paradossalmente, a
quel punto potrebbero essere proprio le autorità tedesche a dare una
mano ai greci pur di aiutarli a uscire dall’euro al più presto.
Gli scenari politici di una vittoria del «sì» sono però almeno
altrettanto probabili, e sono due. Il primo, meno accreditato, è
quello di un’affermazione schiacciante. Il governo si dimetterebbe
subito e, visto lo stato ormai palese di emergenza del Paese, si
correrebbe verso un patto di unità nazionale che riprenda i contatti
con l’Europa per riattivare un robusto programma di prestiti contro
riforme. Non è un caso se Antonis Samaras, l’ex premier
conservatore, e il leader filo-europeo di Potami Stavros Theodorakis
sono sprofondati in questi giorni in un silenzio assordante.
Preparano il dopo, in contatto con le altre capitali. Il loro
candidato premier è l’ex governatore George Provopoulos, e il
compito di firmare un patto con i creditori sarebbe reso più facile
da un «sì» schiacciante.
Il problema è che il «sì»,
qualora vinca, probabilmente non sarà schiacciante. In quel caso la
Germania potrebbe frenare sull’intensità dei nuovi aiuti, per
quanto disperatamente necessari adesso che l’economia greca ormai è
in caduta libera. Il timore dei tedeschi è che Syriza faccia cadere
fra pochi mesi un governo di unità nazionale, vada a elezioni, e
torni al governo con le casse nel frattempo riempite di denaro
europeo.
Dunque Berlino resterà prudente e Atene resterà
probabilmente in bilico, nel migliore dei casi. Un «sì» può forse
evitare il peggio. Ma la Grecia non è lontanamente vicina alla fine
del suo dramma.
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