Corriere della Sera 20/07/15
F.C.
Alle cinque della sera, mentre un bimbo
suonava il Silenzio in via D’Amelio, Manfredi Borsellino arrivava
finalmente dai suoi bimbi al mare, a Cefalù, disertando le
manifestazioni come aveva annunciato — ha reso omaggio alle vittime
di via D’amelio in forma privata — ma con il cuore ai ragazzi, ai
palermitani raccolti nel ricordo del padre.
D’altronde, la
scossa l’aveva data sabato, davanti al presidente Mattarella con la
accorata difesa della sorella Lucia. Un’emozione grande: «Nell’aula
magna del palazzo di giustizia mi sembrava di rivivere lo stesso
sconforto di Rosaria Schifani ai funerali di 23 anni fa.
Fortunatamente è stato un attimo, solo un attimo, poi è prevalso
l’ottimismo che ci hanno lasciato i nostri cari caduti a Capaci e
in via D’Amelio».
Resterà nelle cronache degli anniversari
delle stragi la frustata alle istituzioni regionali che Manfredi ha
accusato del «sordo silenzio» seguito alle dimissioni della sorella
Lucia da assessore alla Salute del governo Crocetta: «La “partita
Borsellino” era stata liquidata in un attimo dopo quelle dimissioni
provocate da chiacchiere, maldicenze e attacchi. Quattro pedine
risistemate e via. Con le mie parole si è rimesso tutto in gioco. Si
sono scossi tutti. Lucia non poteva parlare e ci ho pensato io. Nulla
di concordato. Lei, in vacanza con nostra sorella Fiammetta a
Pantelleria, non si aspettava niente di tutto questo. Io non ci ho
dormito la notte. Avevamo deciso di non andare alle manifestazioni.
Sapevo che il presidente Mattarella alle 3 sarebbe andato al palazzo
di giustizia. A mezzogiorno ho buttato giù qualche riga. Alle 2 mi
sono presentato in tribunale, dal presidente della Corte di appello,
Gioacchino Natoli. Ho chiesto un contatto col cerimoniale. Un breve
incontro con il capo dello Stato. E poi ho parlato nell’aula
magna».
Per ripetere che la sorella aveva spalancato le porte
dell’assessorato per fare pulizia: «Ma lo sapevano tutti che lei
consentiva agli inquirenti, alla magistratura di controllare tutto
ciò che c’è da controllare. E dovevano sapere e capire tutti che
non sarebbe potuta andare diversamente. È figlia di suo padre. Per
lei la trasparenza è cosa scontata». Crocetta dice di averla
sostenuta, di avere vissuto il suo stesso calvario, ma su questo
Manfredi è ermetico: «Io per il lavoro che faccio come commissario
della polizia di Stato non entro nel merito del contraddittorio con
uomini politici. Non posso essere trascinato in dibattiti politici. È
roba che non interessa me, la mia famiglia, la stessa Lucia che in
questi anni non ha fatto politica. Lei è stata assessore tecnico. Ha
operato tra mille difficoltà e poi è andata via...».
Ma
davvero Manfredi Borsellino pensa che ci siano in giro tanti
professionisti dell’antimafia? Riflette e richiama Sciascia: «Aveva
ragione lo scrittore di Racalmuto. Aveva semplicemente sbagliato
persona indicando il nome di mio padre. Cosa chiarita da loro stessi
che si incontrarono più volte scambiandosi poi lettere. E mio padre
condivideva. Sciascia anticipava enormemente i tempi, come solo un
grande scrittore avrebbe potuto fare. Poi fu malconsigliato sui nomi.
Ma mio padre, intelligente, capì subito. Ho pensato anche a questo
parlando a braccio, sugli appunti di mezz’ora prima, guidato da
qualcuno, lassù. Sconvolgendo la scaletta dei lavori». E non solo.
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