Corriere della Sera 29/07/15
Salvatore Bragantini
La politica economica dell’eurozona è
sbagliata, i suoi assetti istituzionali non funzionali. La linea
greca era indifendibile, ma neanche la ricetta tedesca ci salverà.
Contro Tsipras, Berlino ha vinto facilmente. Un blocco avanzato di
350 milioni di persone non può praticare il lassismo greco, ma
nemmeno far solo quadrare i conti. Un’economia come l’eurozona,
immersa nella competizione globale, va retta da altri principi. Solo
nella difesa della concorrenza l’Europa s’è data una visione
globale. Tutto il resto è visto con miopi lenti nazionali.
All’Europa oggi non si prospettano opzioni politiche continentali,
solo contrapposte visioni degli interessi nazionali. La
socialdemocrazia tedesca (Spd) si appiattisce sulla Cancelleria, se
non sul ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble e la sinistra, al
governo in Francia e Italia, non la contesta, solo ne chiede
un’applicazione lasca. Il presidente della Bce, unico vero politico
europeo, bada a non invadere il campo politico, per non agevolare chi
ne osteggia la linea; anche i più attenti esegeti delle sue parole,
però, non ne troveranno di supporto alla politica economica attuale.
Non sta a lui dire che è errata; solo se fosse a rischio la
sopravvivenza dell’euro sarebbe costretto a uscire allo scoperto.
Questa linea molto ha giovato alla Germania ma, somministrata in dosi
massicce a tutta l’Europa la ucciderebbe. A dirlo non sono solo i
Krugman e gli Stiglitz, intellettuali magari ostili all’euro
(Federico Fubini, Corriere , 22 luglio). Ce lo ricordano i documenti
(tecnici) del Fondo Monetario Internazionale e delle grandi banche
centrali; per l’ex presidente di quella americana, Bernanke, così
non si esce dalla crisi e divergenze tanto profonde (la
disoccupazione tedesca è al 5%, nel resto dell’eurozona al 13%)
vanno colmate. Il problema non sta nelle riforme da fare, dice, e
propone di includere nel patto di stabilità e crescita anche la
riduzione degli sbilanci attivi, come il surplus tedesco (al 7,5% del
Pil!).
Di una linea diversa dal mainstream e da Syriza, però,
non si parla. Per la destra europea seria l’eurozona è come una
famiglia; anche i terroni risparmino! Spetta alla sinistra elaborare
proposte concrete, andando oltre i richiami alla flessibilità. Non
può farlo quella italiana; le tocca solo mettere in sicurezza un
debito che è una bomba sull’eurozona. È in Germania, Paese guida
dell’eurozona, che deve maturare la svolta, ma come i democratici
Usa, per non parere antipatriottici, tacquero quando GW Bush invase
l’Iraq, così la Spd non osa dire agli elettori la verità: che non
c’è al mondo domanda capace di assorbire il maxi surplus
commerciale che l’eurozona avrebbe se mai divenisse una grande
Germania; che va sciolto il trilemma di cui parla il neo economista
del Fmi, Maurice Obstfeld, fra difesa dell’indipendenza fiscale
degli Stati, integrazione dei mercati e stabilità finanziaria; o per
venire a noi, che nessuno da anni registra avanzi primari come
l’Italia; che la riforma delle pensioni noi l’abbiamo fatta, non
la Germania; che non siamo costati un euro ai contribuenti europei
mentre abbiamo visto il rapporto debito/Pil peggiorare di 4 punti per
salvare altri Stati, e così via.
Se ancora non si parla di una
diversa politica economica, almeno di nuove istituzioni si discute;
Enzo Moavero Milanesi ( Corriere , 23 luglio) abbraccia la
rivoluzionaria proposta del presidente francese Hollande. Sarebbe il
ritorno al metodo comunitario, uno schiaffo ai nazionalismi; ciò non
piace a Schaeuble che, rileva il nostro ministro dell’Economia,
Pier Carlo Padoan, dimentica il ruolo di un Parlamento. Questa
battaglia va sostenuta. Sarà dura e dapprima costerà voti, ma solo
una grande entità politica europea potrà avere nel mondo un ruolo
significativo.
Per salvare il progetto europeo, solo la sinistra
può rompere il doppio tabù, su un governo dell’eurozona (partendo
dai sei Paesi fondatori) e su una «terza via» fra la spensieratezza
di Syriza e il bigottismo economico della destra europea, incapace di
investire, per salvare una grande costruzione politica, il capitale
culturale, politico e finanziario, accumulato nei secoli dalla
vecchia Europa .
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