venerdì 17 luglio 2015

Segnali positivi per la diplomazia UE.


Corriere della Sera 17/07/15
Riccardo Franco Levi
«L’ambizione e la volontà di far pesare l’Italia in Europa e l’Europa nel mondo sono giuste e condivisibili. Ma attenti a non sbagliare obiettivo». Così, giusto un anno fa, scrivevamo sul Corriere della Sera . 
 Oggi — alla luce, ma non solo, della felice conclusione dei negoziati sul nucleare iraniano — è giusto riconoscere che le riserve e i dubbi allora avanzati di fronte alla scelta del governo italiano di puntare alla nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea e, quindi, a vicepresidente della Commissione europea, non hanno trovato conferma nei fatti. 
 L’Unione europea — questo era il ragionamento — non ha vere competenze nella politica internazionale, territorio gelosamente presidiato dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri e dai loro ministri degli Esteri. Le esperienze dell’evanescente britannica Lady Ashton e, prima di lei, persino dall’autorevolissimo spagnolo Xavier Solana, già segretario generale della Nato, stavano a dimostrare che quello di Alto Rappresentante è un ruolo sulla carta prestigioso, ma in realtà privo di potere. 
 Altri sono i campi — il commercio internazionale, la concorrenza — nei quali l’Unione europea e per essa la Commissione ha competenze piene e dirette. Altre, di riflesso, erano le poltrone alle quali mirare se si voleva far pesare la voce dell’Italia e — perché no? — tutelare più da vicino i nostri interessi nazionali. 
 Siamo chiari. Non solo i capi di Stato e di governo e i ministri degli Esteri non hanno ceduto un grammo dei loro poteri all’Alto Rappresentante ma si è pure rafforzata la pessima abitudine dei due paesi maggiori, Germania e Francia, a sostituirsi con prepotenza ai rappresentanti ufficiali dell’Ue nei passaggi più difficili: vedi gli incontri a tre Merkel-Hollande-Putin sulla crisi ucraina. 
 Detto questo, bisogna riconoscere che Federica Mogherini, evitate vuote fughe in avanti, è stata capace in questi dodici mesi di dare un senso al proprio ruolo. 
 Un primo segno del suo progressivo consolidamento era venuto dalla notizia della rinuncia dell’ex premier britannico Tony Blair al mandato di inviato del «Quartetto» (Onu, Usa, Ue, Russia) per il Medio Oriente, rinuncia per la quale lei stessa, intenzionata a rilanciare il ruolo dell’Europa nella regione, si era personalmente spesa. 
 I negoziati con l’Iran hanno confermato la sua raggiunta legittimazione. Nessun dubbio sul fatto che i due primattori siano stati John Kerry e Mohammad Javad Zarif, i ministri degli Esteri americano e iraniano. Ma lei, Federica Mogherini ha fatto la propria parte. Sempre presente al tavolo e contando sulla preziosa assistenza di Helga Schmid, vicesegretario del Servizio europeo per l’azione esterna, ha garantito la continuità delle trattative. Ha agevolato l’emergere di una comune posizione europea, stemperando, ad esempio, in alcuni passaggi delicati, le più dure posizioni dei francesi, i più sensibili alle preoccupazioni israeliane. Quando necessario, ha rappresentato con credibilità agli iraniani le posizioni dei «5+1». 
 Per affermarsi, Mogherini ha coltivato e stabilito proficui rapporti di lavoro e d’intesa con i capi delle diplomazie dei Paesi membri, a partire dal ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, tanto da essere oggi riconosciuta come un efficace presidente del consiglio Affari Esteri della Unione europea. 
 Analogo impegno e rispetto ha dimostrato nei confronti del Parlamento europeo, partecipando alle sessioni plenarie di Strasburgo e mettendo a frutto le relazioni così acquisite in una non banale opera di diplomazia parlamentare. 
 All’interno della Commissione europea, al contrario di Lady Ashton che era quasi sempre assente (tanto che c’è chi attribuisce proprio alla sua sedia vuota i progressi compiuti nella costruzione di quell’unione bancaria così poco amata dai britannici), Federica Mogherini è stata presente con regolarità nel suo ruolo di vicepresidente alle riunioni del collegio dei commissari e si è conquistata la fiducia del presidente Jean Claude Juncker. Segnata da qualche elemento di rivalità sembra essere, invece, la sua relazione con il primo vicepresidente, l’olandese Frans Timmermans. 
 Resta, infine, da ammettere che le continue tragedie nelle acque del Mediterraneo hanno trasformato l’immigrazione, la questione forse di più immediato interesse dell’Italia, in un’emergenza di dimensione europea. Da marginale che rischiava di essere, l’incarico di Altro Rappresentante ha finito, così, per rivelarsi un avamposto prezioso anche dallo stretto punto di vista dell’interesse nazionale.

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