Riccardo
Imberti
30 luglio 2015
Mentre
si assiste all'instancabile polverizzazione della “sinistra
sinistra” italiana con i vari Fassina, Civati e Cofferati
impegnati a far nascere per ognuno una forza politica, al Senato
della Repubblica abbiamo assistito al respingimento degli arresti
domiciliari del senatore Azzollini, ennesimo gesto di tutela che
altro non fa che male alla politica.
Gli anni
che ci stanno alle spalle hanno visto sicuramente un eccesso di
protagonismo della Magistratura con comportamenti plateali e con
denunce che spesso sono state contraddette dai fatti. Per quanto mi
riguarda, quindi, devo confessare di avere modificato le mie
convinzioni riguardo all'insindacabilità dei provvedimenti e ad
alcune scelte dei magistrati. Ma rimango convinto che, per
ristabilire l’autorevolezza della politica, questa non può agire
di rimessa ai provvedimenti giudiziari, ma, al contrario, deve
intervenire laddove si manifestino fenomeni di corruzione e di
malaffare e, attraverso gesti coerenti, allontani e/o sospenda in via
cautelativa chi non serve con onore il proprio Paese. Solo in questo
modo si potrà ricostruire un tasso di credibilità sufficiente dei
cittadini nella politica.
Il caso
Azzollini rappresenta un passaggio di grande rilievo. C’è chi ha
dichiarato di aver respinto la richiesta di arresto domiciliare
perché Azzolini andrà comunque sotto processo e, se sarà
condannato, finirà in prigione. Ma una domanda mi sorge spontanea:
quale trattamento sarebbe riservato ad un cittadino comune? Tutti
sanno la risposta. Tra i sostenitori delle garanzie per Azzollini
non sono molti quelli che si battono per le garanzie dei poveri
cristi, dei migranti, dei profughi e delle persone prive di tutele.
Il mio giudizio diviene ancor più negativo su tanti senatori del mio
partito che mi sembra incoerente con il significato che tanti amici
danno l'impegno politico: la politica come servizio al Paese, come
dovere di ogni cittadino, ma anche un privilegio che va ripagato con
la coerenza e con il rigore dei comportamenti. Questo mi hanno
insegnato i miei maestri. E continuo a ritenere un errore - e un
danno alla sua credibilità - quando la politica interviene dopo i
provvedimenti della magistratura, quando dovrebbe prevenire i fatti
di corruzione e allontanare chi ne è responsabile.
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