Corriere della Sera 16/07/15
corriere.it
Nelle edicole della Repubblica
Islamica, ieri, l’unico giornale critico dell’accordo nucleare
era l’ultraconservatore Kayhan. Ma in un video della festa, i
giovani lo deridevano mettendolo sullo stesso piano di Netanyahu:
«Condoglianze Israele, condoglianze Kayhan».
Oggi gli eroi
della piazza sono il presidente Rouhani e il ministro degli Esteri
Zarif — e lo sono con il pieno appoggio della Guida Suprema Ali
Khamenei. Ma anche altri due nomi erano sulla bocca dei giovani ieri:
Mir Hossein Mousavi, leader del Movimento Verde del 2009, e l’ex
presidente riformista Khatami — benché il primo sia agli arresti
domiciliari e il secondo non possa essere nominato dai giornali. Così
all’indomani dell’apertura al mondo, molti iraniani si chiedono
cosa cambierà negli equilibri di potere e nelle libertà personali
all’interno del Paese.
Un test importante saranno le elezioni
di febbraio. Si sceglierà il nuovo parlamento e si prospetta già
un’alleanza tra moderati e riformisti per porre fine alla
maggioranza ultraconservatrice. «Ora Rouhani e Zarif sono più
popolari che mai. Alcuni politici vicini a loro si preparano a
lanciare una lista per le elezioni», spiega Farahmand Alipour, esule
riformista già membro della campagna elettorale di Karroubi, l’altro
leader del Movimento Verde. «Il governo di Rouhani non è riformista
come Khatami o come i leader del 2009, ma sono tecnocrati che
conoscono il mondo e l’economia, per cui noi riformisti li
appoggiamo. In più noi chiediamo maggiori libertà sociali e
culturali».
Ci sono anche due nuovi partiti riformisti sulla
scena: uno è Ettehad Mellat (Unità nazionale iraniana) e include
diversi membri del riformista Mosharekat (Partecipazione) bandito
dopo il 2009. L’altro è Nedaye Iranian (Voce degli iraniani) di
Sadegh Kharazi, ex ambasciatore a Parigi vicino alla Guida Suprema
(suo zio è stato ministro degli Esteri, sua sorella è sposata con
uno dei figli di Khamenei). «Ahmadinejad è finito, è un pezzo di
storia ormai, ma la sua scuola di pensiero vive ancora, e dobbiamo
annientarli», ci ha detto ricevendoci nel suo ufficio a Teheran.
«Sì, è vero, ci sono ancora molte persone in prigione», ha
ammesso. «Ma confidiamo in questo governo. La Guida Suprema è una
persona aperta, ma siamo un Paese metà tra tradizione e modernità,
i cambiamenti bruschi portano al collasso».
C’è chi ha detto
al Financial Times che «per evitare l’ascesa di movimenti
riformisti con una forte base sociale, il regime ha capito che è
meglio autorizzare partiti domabili, in modo da incanalare così la
richiesta di cambiamento. È come un vaccino per rendere il regime
immune da una ribellione riformista considerata pericolosa come
l’Ebola». Le elezioni di febbraio saranno importanti anche perché
si eleggerà l’Assemblea degli Esperti, l’organo che nominerà la
prossima Guida Suprema dopo la morte del 76enne Khamenei. I
candidati, come pure quelli per il parlamento, devono essere
approvati dal Consiglio dei Guardiani (per metà direttamente
nominato dalla stessa Guida).
Di certo l’apertura al mondo ha
riacceso la speranza. «Da ieri tantissime cose sono cambiate —
dice Alipour — e non solo nelle relazioni tra l’Iran e l’estero.
Nel discorso di ieri di Rouhani c’era un messaggio chiaro. Ha
parlato chiaramente contro i conservatori: ha detto che possono
criticare l’accordo ma non permetterà che tolgano la speranza alla
gente. Per due anni i riformisti hanno lamentato che si è occupato
solo del nucleare e si è dimenticato delle altre promesse. Ieri ha
fatto capire che adesso si comincia sul fronte interno. D’altra
parte, se siamo stati in grado di parlare con gli Stati Uniti, che
sono stati i nostri nemici per 35 anni, perché non possiamo farlo
tra di noi?». Rouhani si troverà al centro tra i progressisti che
chiedono maggiori diritti e gli ultraconservatori che considerano
anche le donne negli stadi una minaccia alla sopravvivenza del
regime. Non sarà facile.
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