lunedì 20 luglio 2015

Il governatore nel «fortino»: la mia ultima cena con Lucia.


Corriere della Sera 20/07/15
corriere.it
CASTEL DI TUSA (Messina) Al terzo giorno di clausura, accanto al Castello di Tusa, schiude la porticina della sua casetta da 60 metri quadri, tre stanze, una sopra l’altra, i gerani alla finestra, e Rosario Crocetta compare in polo azzurra, indicando la gattina che fa le fusa e il devoto assistente, Giuseppe, pronto col caffè: «I soli fedeli rimasti...». Eccolo il presidente accusato di «una colpa infinita mai commessa», appagato dal dirimpettaio che rientra verso i resti del castello dove abita, sullo stesso cortile sorvegliato da un gippone dell’Esercito, in cima alla collinetta con vista mozzafiato sul mare fra Palermo e Messina. «Gradisce, presidente? Noi siamo tutti con lei». E il governatore: «Non posso, il diabete...». 
 Comincia così la domenica del contrattacco. Perché Crocetta, rinfrancato dalle smentite della Procura sulla presunta telefonata dell’ Espresso , su parole e silenzi lanciati contro Lucia Borsellino, decide di replicare: «Sono rimasto in silenzio a piangere, travolto da un massacro mediatico, sbattuto in prima pagina come un mostro. Io, Sampieri, l’ex manager dell’ospedale Villa Sofia, e Matteo Tutino, il medico, considerati come gli organizzatori della “seconda strage Borsellino”... Una follia, un complotto, una congiura». 
 La pace di questo cortile francescano viene interrotta dalla rabbia di Crocetta. Meglio salire al terzo livello, la stanza salottino, cucina e camera da letto insieme. E qui evoca Voltaire: «Lo diceva: nella calunnia può essere tutto falso, ma resta il dubbio che possa essere tutto vero... E io debbo difendermi pure dalle menzogne». A cominciare da quella telefonata: «Sono convinto che si tratti di una intercettazione ambientale, confusa, piena di fruscii, in parte incomprensibile, con Tutino che parla, ma senza che nessuno sappia con chi. Certo non con me per la semplice ragione che in quello studio io non c’ero». 
 Necessario mettere a fuoco il rapporto fra Crocetta e il suo medico personale, dal 29 giugno agli arresti domiciliari per truffa. «No, non ho un medico personale. Non sono Berlusconi. Tutino è il medico dei personaggi più in vista di Palermo. A me presentato da una persona di indubbia legalità. Stava recitando il rosario e mi chiese di farlo con lui. Rifiutai. Ho una visione più intimista della fede. Poi cominciò a rappresentarmi le sue battaglie contro l’illegalità...». 
 Perché il governatore, conosciuto un medico allora in servizio a Caltanissetta, lo promuove e trasferisce a chiamata come primario in uno dei più grandi ospedali di Palermo? «Io? Sampieri, da direttore di Villa Sofia, ha chiamato Tutino a Villa Sofia. Che motivo avevo io?». Per tanti, in vista delle elezioni nazionali, Tutino sosteneva il «Megafono» di Crocetta. No,il governatore contraddice: «Lui stava con Antonio Ingroia, all’epoca magistrato. Anzi, cercò di convincermi ad affiancare il “Megafono” alla loro “Rivoluzione civile”. Spiegai che sarebbe stato un fallimento. L’unica che ne conveniva era la moglie di Tutino, grande anestesista. La pensava come me. Convinti entrambi di dovere stare in un centrosinistra unito». 
 Il resto delle intercettazioni sono comunque sconvolgenti anche per Crocetta: «Emergono linguaggio e metodi inaccettabili che fanno indignare. Ma per proprietà transitiva l’indignazione dovrebbe trasferirsi su di me perché avevo tale medico? Eh no. Ricordo il chiacchiericcio delle scorse settimane quando c’è stato chi ha fatto girare la voce di una presunta tresca sessuale fra me e Tutino. Preciso: essendo rigorosamente pasoliniano, non sono interessato ai borghesi. Non mi piacciono. Come non mi piacciono i “lipoaspirati”». E lo dice come se non si sapesse che Tutino l’ha sottoposto proprio a questo intervento. «Ho aspirato il grasso pericoloso per un diabetico. Non ho fatto lifting addominale. Ho pagato 3.800 euro in clinica privata». Operazione in contrasto con il fatto che non gli piacciano i «lipoaspirati». No, nessun contrasto: «Infatti io non mi piaccio. Anche perché io sono borghese. Meglio i proletari. Posso dirlo?». 
 Meglio passare al «calvario» descritto da Manfredi Borsellino parlando della sorella sabato davanti al presidente Mattarella. «Si, quello di Lucia è il mio stesso calvario. Io l’ho sempre difesa. Una settimana prima della bufera siamo andati a cena, io e lei. Una serata bellissima. Abbiamo parlato delle infiltrazioni nella sanità, dei rischi che corriamo io e lei per avere bloccato i malaffari». 
 Ultimo incontro con Lucia? «Mercoledì scorso. La sera di nuovo insieme. Tutto perfetto. La mattina dopo qualcuno le mostra il dossier, scoppia il caso Espresso , lei emotivamente esplode e io vengo travolto. Anche dal susseguirsi dei messaggi di Mattarella e Renzi, dei presidenti di Senato e Camera, di Alfano. Solidarietà a Lucia e, implicitamente, distanza dal “mostro”. Finché alle cinque della sera arriva la smentita del procuratore Lo Voi. Alla faccia dei parolai dell’antimafia, come Fava o Leoluca Orlando». Tanti gli avversari. «Ci sono quelli che si vogliono candidare a presidente. E quelli che appena parlano i capi sbracano, anche seguendo l’imprevidente Renzi. Ma lo capisco. Tutti travolti in quel momento da notizie da nessuno verificate e apprese da altri». 


Nessun commento:

Posta un commento