giovedì 2 luglio 2015

La roulette azzardata di Tsipras e quell’errore demagogico del voto La crisi della Grecia e il referendum sull’euro


Corriere della Sera 2 luglio 2015 
Bernard-Henry Lévy
Nel preciso istante in cui scrivo queste righe, lunedì 29 giugno, nessuno sa ancora come finirà la crisi greca. Ma io non ho mai fatto mistero del sentimento di rabbia e frustrazione che mi ispira questa Europa di oggi, senz’anima e senza nessun progetto degno di questo nome, traditrice non solo dei suoi valori, ma anche dei suoi padri fondatori. A più riprese ho denunciato la cecità (con qualche eccezione, Jacques Delors) della maggior parte dei suoi attori quando con una serie di manovre sospette, quindici anni fa, è stata accolta precipitosamente la Grecia nella zona euro, e non ho timore di esprimere ciò che provo, in questi giorni, davanti all’atteggiamento di Tsipras. In effetti, che cosa gli hanno chiesto, tutto sommato, e in questo momento storico, i rappresentanti di quelle che lui chiama sprezzantemente «le istituzioni», in una retorica che non si scosta poi tanto da quella dell’estrema destra greca? Gli è stato chiesto uno sforzo fiscale minimo, in un Paese in cui sarebbe ora di dire che un’amministrazione solida, capace di riscuotere le tasse e ridistribuirle equamente, è un principio elementare.
L’innalzamento a 67 anni, tranne che per i mestieri usuranti, dell’età media pensionabile come succederà, a più o meno breve termine, anche per i lavoratori dei Paesi Bassi, Danimarca, Gran Bretagna, Germania, in altre parole per un gran numero di Paesi nei quali si sollecita la solidarietà dei cittadini nei confronti della Grecia (per non parlare degli Stati Uniti, dove in questi giorni si sta pensando di portare l’età della pensione dai 67... ai 70 anni !). Una riduzione - ma non immediata - nel bilancio delle spese militari, che non è forse assurdo, tenuto conto della situazione geostrategica del Paese, ma che resta pur sempre, su base percentuale, il più elevato dell’Unione Europea.
In cambio di che cosa Tsipras si è visto offrire una nuova quota di aiuti da parte di un Fondo monetario internazionale di cui dimentica volentieri che, ancor prima di essere una pompa di finanze nello stile di Alfred Jarry e a sua unica disposizione, trattasi di un fondo preposto ad aiutare anche il Bangladesh, l’Ucraina e i Paesi africani travagliati dalla povertà, dalla guerra, e da un cambio penalizzante - e a garantire inoltre una ristrutturazione della restituzione dei prestiti contratti da questi Paesi prima del 2011, anche se, come tutti sanno, questi debiti non saranno in realtà mai rimborsati. Forse la signora Lagarde, lo spauracchio di Tsipras assieme alla signora Merkel, si è dimostrata poco abile nella «comunicazione».
Ma questo era lo stato reale dei negoziati quando Tsipras ha deciso unilateralmente, venerdì 26 giugno, di interrompere ogni trattativa. E tenuto conto del passivo accumulato e degli errori del passato, sul tavolo c’era quanto di meglio il Fondo era in grado di offrire alla Grecia. Davanti al piano presentato dal Fmi, Tsipras ha scelto di rispondere rispolverando la retorica dell’estrema destra sulla fantomatica «umiliazione della Grecia».
Come non ricordare che anche il suo predecessore socialdemocratico Giorgio Papandreu, cinque anni fa, ha fatto la stessa scelta nel momento della crisi finanziaria ? Esattamente. Ma se per Papandreu si trattava di far accettare ai suoi concittadini un piano di salvataggio che era stato studiato, discusso e confermato, oggi Tsipras punta a scaricare sull’elettorato la corresponsabilità di un naufragio che solo lui ha deciso di rischiare. Ma è così che si governa un grande Paese ? E la Grecia non si merita qualcosa di meglio di questo demagogo incendiario, capace di allearsi con i neonazisti di Alba Dorata per far passare in Parlamento il suo progetto di plebiscito? Proprio lui, che aveva rimbeccato il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che lo ammoniva con le parole «the game is over» (il gioco è finito) nelle ultime fasi del negoziato, rinfacciandogli che «la povertà di un popolo non è un gioco!» Ebbene, oggi si ha proprio voglia di ricambiare il complimento e ricordare a Tsipras che non si gioca la povertà al poker o alla roulette greca, che non si spinge il proprio popolo nel baratro per uscire dal vicolo cieco dove lui stesso si è cacciato.
(traduzione di Rita Baldassarre)

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