Corriere della Sera 27/07/15
Maria Teresa Meli
A sentire il presidente del Consiglio
la tribù dei «musi lunghi» (l’ultima variante renziana degli
ormai abusati «gufi») si allarga anche oltre i confini del Partito
democratico.
Il premier non nasconde la fretta di fare le
riforme: «Servono per sbloccare il Paese e per poter presentare in
ottobre all’Europa il nostro piano di riduzione delle tasse, senza
che quelli si mettano a fare i maestrini». Ma l’inquilino di
palazzo Chigi vede che i sindacati «frenano» da una parte, la sua
minoranza interna sta appresso ai «boatos» sui cosiddetti
verdiniani, una parte dei poteri forti «fa resistenza». E allora
sbotta, nello stile che gli è consueto, cioè senza usare troppi
giri di parole: «I soliti vorrebbero trascinarci in polemiche,
avvitarci in faide per rallentare l’azione riformatrice del
governo».
Lui, però, non è assolutamente disposto a fermarsi:
«A chi tifa Forza Palude rispondiamo che ci metteremo ancora più
determinazione per cambiare il Paese. Hanno paura perché dopo anni
di annunci rimasti nell’aria noi le cose le facciamo sul serio».
E tra le «cose» alle quali pensa Renzi non c’è, come invece
potrebbe pensare qualcuno, la Rai da portare a casa in tutta fretta,
mentre c’è ancora il ddl costituzionale. Certo, l’ha rimandato a
dopo l’estate perché adesso sono altre le priorità. La Pubblica
Amministrazione, per esempio, perché quella «ci consentirà di
ridurre le municipalizzate da ottomila a mille». Ed è a riforme
come questa a cui guarda l’Europa per giudicare il nostro tasso di
serietà.
Però la revisione della Carta fondamentale resta un
obiettivo del premier. Al quale gli allarmi della minoranza interna
sul l’arrivo delle truppe di Verdini sembrano una scusa per
bloccare questa riforma. «Non si può sempre tornare al punto di
partenza», continua a ripetere Renzi ai suoi collaboratori in questi
giorni. E aggiunge: «Io non posso passare il mio tempo appresso a
certi gossip. Anche ai tempi del patto del Nazareno dicevano che
dietro c’era un oscuro accordo sul Quirinale, e poi si è visto
come è andata a finire. A volte si litiga proprio sul nulla. Non
possiamo passare tutto il tempo a dividerci».
Certe allusioni,
anche pesanti, amareggiano il presidente del Consiglio, benché in
pubblico preferisca minimizzare la cosa, però con i suoi, poi, si
sfoga: «Nessuno ha mai detto che vogliamo sostituire i voti della
minoranza sulla riforma costituzionale con quelli dei verdiniani.
Anche perché vedrete che ci saranno pure altri senatori di Forza
Italia, che alla fine la voteranno. A Palazzo Madama abbiamo una fila
di gente lunga così... Inoltre è chiaro che non è che cambiamo né
la struttura né la maggioranza di governo. Quindi, di che si parla?
A meno che non si abbia paura di far costare meno i propri veti...».
Insomma, Renzi non ne può più di questa storia. Peraltro ha già
spiegato chiaramente alla minoranza interna, che sembra tornata sul
piede di guerra, che lui vuole partire dell’unità del partito su
tutte le leggi, anche su questa, ma una cosa deve essere chiara:
«Eventuali modifiche non sono né un obbligo, né un tabù”. Ossia
possono farsi, come non farsi. Adesso però il premier è tutto
concentrato sulla legge di stabilità e la spending review. A
proposito di quest’ultima, Matteo Renzi ci tiene a precisare che
sarebbe «sbagliato fare allarmismi». Sulla sanità, per esempio,
capitolo assai delicato, si lavora soprattutto sulla
«razionalizzazione e riduzione delle centrali d’appalto».
Quanto a un altro problema, che è stato motivo di polemica in questi
ultimi giorni, cioè quello del pagamento o meno dell’Ici per gli
istituti scolastici paritari (vedi la recente sentenza della
Cassazione su due scuole di Livorno), Renzi conferma che sarà presto
convocato un tavolo: «Sarà quello — assicura il presidente del
Consiglio — il luogo dove decidere di evitare squilibri che
rischierebbero di impattare sul sistema scuola».
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