Corriere della Sera 16/07/15
Marco Imarisio
I deputati di Syriza camminano su una
strada deserta. Entrano in Parlamento per il voto decisivo passando
tra due ali di agenti in tenuta antisommossa schierati sulla
scalinata che conduce all’Aula. L’accesso a ogni via è sbarrato
dai pullman delle Forze speciali messi di traverso.
L’unica
certezza di una giornata infinita è questo cambio di stagione, una
breve epoca che finisce senza neppure sapere cosa accadrà domani. Il
governo del popolo, così lo definì Alexis Tsipras nel suo discorso
inaugurale da primo ministro, si deve difendere dalla rabbia del suo
popolo. Piazza Syntagma si riempie lentamente, seguendo il ritmo
bizantino dettato dalla politica che si avvita su se stessa anche nel
momento in cui l’interesse nazionale suggerisce di fare in fretta.
Arrivano gli iscritti del sindacato stalinista Pame, le associazioni
di quartiere, arriva la base elettorale di Syriza, nelle prime fila
ci sono addirittura i ragazzi dell’organizzazione giovanile del
partito. Appena dietro, defilati ma senza far finta di dissimulare le
loro intenzioni, ricompaiono gli anarchici. Felpe nere, maschere
antigas appese alla cintura, i cestini dell’immondizia riempiti di
sassi pronti per l’occasione. «Attacchiamo questo governo che
attacca i diritti dei lavoratori» urla al megafono un militante, al
centro di una folla di quasi diecimila persone che non ha padroni e
aspetta soltanto la notizia del sì alle riforme chieste dall’Europa
per interpretare a piacimento quella frase, declinata in ogni
possibile modo.
La piazza e il Palazzo sono tornati a essere due
mondi separati e ostili, che solo per oggi dipendono uno dall’altro.
Non era mai successo nella storia di Syriza e del suo governo, ma lo
smarrimento sulla faccia dei peones del Parlamento lascia intendere
la consapevolezza dell’irreversibilità di questo distacco. Eppure
tutti sanno che dentro è in corso una recita dove la fine è nota.
L’accordo passerà, non importa quanti siano i dissidenti interni.
Già al pomeriggio Panagiotis Lafazanis, professore di matematica
trozkista divenuto ministro dell’Energia che detta la linea a
Piattaforma di sinistra, il contenitore che tiene insieme le cinque
componenti più radicali di Syriza, può prodursi in un ragionamento
spericolato che si basa sul dato acquisito del soccorso esterno.
«Votiamo no, io e altri 30-35. Ma non ci dimettiamo, perchè siamo
pronti a sostenere il governo». Il professore, che sembra separato
alla nascita dal premier spagnolo Mariano Rajoy, mostra irritazione
per gli sguardi perplessi degli interlocutori. «È la politica,
signori. Siccome sappiamo che il centrodestra è favorevole
all’accordo, siamo liberi di votare come ci pare. Ma se
l’opposizione, vedendo che alla maggioranza mancano i numeri,
chiede la sfiducia, siamo pronti a sostenere il governo del quale
continuerò a fare parte al fine di difenderlo».
La fiera della
vanità non è mai un bello spettacolo. Quel che deve succedere
accade già al mattino. Il Comitato centrale di Syriza con una
maggioranza di 107 voti su 201 sfiducia di fatto Alexis Tsipras
certificando il rigetto di un accordo che non piace a nessuno,
neppure ai fedelissimi del premier che poi lo voteranno in Aula. La
presidente dell’Assemblea Zoe Konstantopoulou infrange il
protocollo e inaugura i lavori delle Commissioni con un appassionato
invito alla ribellione. «Abbiamo il dovere di votare contro questo
accordo fraudolento che è frutto di un ricatto, dobbiamo avere il
coraggio di ribellarci a creditori internazionali che sono ormai
diventati veri e propri criminali». Yanis Varoufakis ripete le
solite cose, sul colpo di Stato. L’unica novità è la mimica e il
modo in cui si riferisce all’odiato Wolfgang Schäuble, chiamandolo
sempre «Dottore» con un marcato accento tedesco che è un evidente
e poco elegante richiamo al Dottor Stranamore, lo scienziato ex
nazista interpretato da Peter Sellers nell’omonimo film di Stanley
Kubrick. L’ex ministro delle Finanze sceglie di parlare dal banco
dove siede la pattuglia dei ribelli di Syriza, quelli che poi
voteranno no. Il suo futuro politico appare sempre più chiaro.
Il Parlamento dal quale dipendono gli umori delle Borse del mondo e
gli equilibri degli altri 18 Paesi dell’Unione Europea, si riduce
ben presto a una passerella di narcisismi che riflette la qualità di
una classe politica che negli ultimi dieci anni ha fatto di tutto per
affondare il suo Paese. Nessuno dimostra di avere almeno il senso del
tragico che richiederebbe il momento. Business as usual , tra frizzi
e lazzi. Le riunioni dei gruppi di partito sono un pretesto per
fingere pensose incertezze a favore delle telecamere. Un deputato di
Alba dorata straccia le pagine dell’accordo in Aula, e poi a
gentile richiesta ripete il gesto davanti ai giornalisti che si sono
persi la scena. I leader di Nea Demokratia, il partito dell’ex
premier Samaras, auspicano in pubblico nuove elezioni e nel corridoio
ridono per quanto hanno appena detto. Intanto scende la sera, e il
centro di Atene brucia.
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