Corriere della Sera 11/07/15
Valentina Santarpia
Primo settembre 2015, suona la
campanella della «Buona Scuola», la riforma targata Renzi che è
appena stata approvata dal Parlamento e che — tranne sorprese
dell’ultimo momento sulla promulgazione da parte del capo dello
Stato — è di fatto già legge.
Presidi, professori e studenti
saranno chiamati a una nuova organizzazione della vita scolastica,
all’insegna dell’autonomia, della flessibilità e della
modernizzazione. Ma cosa cambierà davvero nella loro vita? Quali
saranno i nuovi compiti che potrebbero trovarsi davanti, le
incombenze, le potenzialità? Proviamo a capirlo. Con una premessa
d’obbligo: «Senza i decreti attuativi la nuova scuola non sarà
davvero realtà — spiega il presidente dell’associazione
nazionale presidi del Lazio Mario Rusconi — e prima che vengano
completati tutti potrebbero anche volerci due-tre anni».
Dal lato
degli studenti
A parte le ore di alternanza scuola-lavoro, che
potenzialmente saranno 400 per gli istituti tecnici e 200 per i
licei, a settembre la riforma cambierà poco la vita degli studenti.
Storia dell’arte, musica, programmazione informatica, educazione
fisica, insegnamento di una materia curricolare in lingua straniera
(Clil): le materie da potenziare sono tutte elencate, ma sarà solo
la pratica a metterle in atto. E il curriculum flessibile, per ora, è
solo un’opzione le cui modalità restano non definite con
chiarezza.
L’apertura pomeridiana
Le scuole aperte tutto il
giorno non sono un’invenzione di Renzi o della Giannini, ma una
possibilità prevista da una legge, la 515 del 1977. Legge rimasta
per lo più inapplicata perché la trafila per l’apertura era così
lunga e laboriosa da scoraggiare chiunque. La «Buona Scuola»
dovrebbe sbloccare e snellire. Lo stesso dovrebbe valere per l’orario
delle lezioni. «È nello spirito della “Buona Scuola” che un
docente sia stimolato a proporre e organizzare le attività
didattiche anche in maniera flessibile — sottolinea Simona Flavia
Malpezzi, deputata Pd —. Orari modulati sulle esigenze degli
alunni, collaborazioni con altre classi, progetti integrativi : tutto
può diventare realtà se c’è un professore volenteroso e che
partecipa attivamente alla vita scolastica».
I poteri del
dirigente
Forse non è vero che gli saranno attribuiti poteri da
supereroe, come contestano i sindacati, ma per poter svolgere tutti i
compiti che lo aspettano gli serviranno nervi saldi. È nelle sue
mani gran parte dell’operatività della riforma. Appena metterà
piede in istituto, dovrà convocare un collegio dei docenti,
possibilmente avendo predisposto già dal 15 agosto una serie di
incontri con i docenti per spiegare loro la nuova organizzazione. Non
potendo contare sul supporto dei sindacati, che annunciano le
barricate, al preside toccherà costituire dei gruppi di lavoro per
approfondire gli aspetti operativi della riforma. Assieme al collegio
dei docenti, dovrà affrontare una serie di questioni spinose: dovrà
istituire i dipartimenti disciplinari in modo da scrivere il piano
dell’offerta formativa (Pof) per il 2015-2016, ma soprattutto
quello triennale per il 2017-2020, che dovrà considerare il
potenziamento di alcune materie, l’aggiornamento professionale, la
chiamata diretta degli insegnanti dell’organico funzionale.
Il
merito
Insegnanti che toccherà sempre al dirigente scegliere —
dall’anno prossimo —, anche se accompagnato dal parere del
comitato di valutazione, composto oltre che da lui da un membro
esterno, tre docenti, uno studente e un genitore, almeno nelle scuole
superiori.
Sempre al preside toccherà, insieme al comitato,
decidere i criteri con cui distribuire quei 70-80 euro che andranno
nelle buste paga dei prof più meritevoli. Un’altra delle prime
pratiche da sbrigare sarà quella di scegliersi i collaboratori
stretti e segnalare le necessità strutturali della scuola. Senza
dimenticare di dare un’occhiata alle potenziali aziende e
associazioni per offrire scelte valide agli studenti nell’ambito
dell’alternanza scuola-lavoro.
Le «armi» dei docenti
Sono
tante e il paradosso è che non usandole i professori rischiano di
lasciare troppo spazio ai presidi-manager. Partecipare al consiglio
dei docenti o promuovere l’elezione di una persona fidata nel
comitato di valutazione (per decidere i criteri con cui premiare i
colleghi): sono delle priorità per gli insegnanti. Il consiglio di
istituto è il vero organo di governo della scuola, che potrà
decidere — se le linee guida della riforma saranno confermate nei
decreti — le aperture pomeridiane, le attività integrative, le
collaborazioni.
L’organico funzionale
Questo discorso vale
anche per gli insegnanti senza cattedra, quelli dell’organico
funzionale che entreranno nelle scuole solo in seconda battuta. Per i
detrattori della riforma saranno degli «insegnanti di serie B» e a
loro spetterà il compito di tappare i buchi. Secondo i sostenitori
entreranno negli istituti con compiti precisi, anche in questo primo
anno, che è di sperimentazione. A chiamarli non saranno i presidi ma
gli uffici scolastici regionali.
Il rischio è che una scuola con
200 studenti si ritrovi con 6-7 insegnanti funzionali a cui non sa
che compiti assegnare. «Che cosa gli facciamo fare? Sarà il piano
dell’offerta formativa a definirlo, ma da subito a ogni docente
potrà essere assegnato un ruolo in base alle proprie caratteristiche
professionali secondo le esigenze di quella scuola», assicura
Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi. Ad
esempio: a un liceo scientifico vengono dati tre insegnanti
funzionali, uno di educazione fisica, uno di matematica, uno di
italiano. Al primo si possono assegnare gli studenti con problemi di
mobilità, organizzando un corso pomeridiano. Il secondo può essere
funzionale al recupero di una classe debole in matematica. Il prof di
italiano potrà essere utile per rafforzare le conoscenze degli
studenti stranieri. Ma siamo nel campo delle possibilità. La
campanella che segna l’inizio delle lezioni, per ora, resta l’unica
certezza della «Buona Scuola» che verrà.
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