Corriere della Sera 11/07/15
Marco Imarisio
L’atrio davanti all’emiciclo del
Parlamento equivale al nostro corridoio dei passi perduti. Al rientro
dal pranzo, il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis ha la
faccia di uno che ha mangiato proprio male. «E’ una questione di
principio — urla ad alcuni giovani collaboratori — Questa cosa
non era nei patti».
Anche i monoliti presentano qualche crepa, a
guardarli da vicino. L’evidente arrabbiatura dell’esponente più
importante di «Piattaforma di sinistra», l’ala radicale di
Syriza, è in netto contrasto con i sorrisi del neo titolare
dell’Economia Euclid Tsakalotos, che dalla parte opposta della sala
dispensa calma e rivolge cordiali banalità ai giornalisti che lo
circondano. Appena suona la campanella i due chiacchierano per
qualche minuto nell’aula ancora semivuota, e si concedono qualche
risata. Ma poche ore prima tra i deputati di Syriza, c’era un’aria
che mancava l’aria. «Comunque vada — dice Stathis Kouvelakis,
uno dei leader della Piattaforma — la spaccatura tra noi e Tsipras
è destinata ad aumentare. Il suo racconto della riunione del gruppo
parlamentare non aderisce alle versioni benevole che verranno fatte
circolare in serata. «Abbiamo detto ad Alexis che non possiamo
accettare quello che di fatto è un terzo memorandum della Troika.
Non siamo i socialisti e neppure Samaras. Non è giusto rinunciare ai
punti fermi dell’accordo che firmammo a Salonicco prima delle
elezioni».
Lafazanis, professore di matematica, 65 anni,
comunista da sempre, non ha risparmiato «all’ex amico» Alexis la
sua ruvidezza. «Stai facendo una cosa incompatibile con il programma
di Syriza, che non aiuterà il Paese. Questo è un altro piano di
salvataggio con misure di austerità ancora più dure. Ogni soluzione
è complicata, ma questa è la più umiliante: indica la resa della
Grecia e della sua gente. Noi non ci staremo mai». Il primo ministro
si è appellato allo spirito del referendum, quando Syriza si
presentò compatta per il no e sembra passato un anno mentre invece
era solo una settimana fa. «Il mandato che abbiamo ricevuto è stato
quello di ottenere condizioni migliori, non di uscire dell’euro».
Ma i conti che vanno regolati sono quelli di casa. La maggioranza ci
sarà comunque, in serata le quattro commissioni competenti a
giudicare la legge che autorizza il governo a negoziare un nuovo
accordo con l’Europa hanno dato il via libera, preludio all’esito
positivo del voto in aula che arriverà nel corso della notte. Le
opposizioni europeiste come i centristi di To Potami si sono già
offerte di fare da stampella.
Quel che non torna nel conto di
Tsipras è proprio Syriza, spaccata molto più del dato numerico dei
cinque parlamentari che hanno presentato una mozione dove si chiede
l’addio immediato all’euro e il ritorno «alla sovranità
nazionale» e dell’ex ministro dell’Economia Yannis Varoufakis
che sibillino ha detto di sostenere il successore ma non voterà per
sopraggiunti impegni di famiglia. Se ci sarà una maggioranza
diversa, ci sarà anche un premier diverso, avrebbe detto a
conclusione della riunione interna. Se Syriza si spacca, lui promette
le dimissioni, che è un modo estremo per tenere insieme una sinistra
più complessa di quanto appaia a prima vista.
Alle otto di sera
in piazza Syntagma alla manifestazione del no all’accordo si
contano settemila persone e almeno otto diversi tipi di bandiere e
striscioni con relativi slogan. Ci sono anche quelle di Syriza, e poi
in un crescendo di radicalizzazione del messaggio, i comunisti
ortodossi del Kke, gli antagonisti anarchici che stanno buoni ma
promettono sfracelli nei giorni a venire, e infine quelli di Epam, il
Fronte del popolo unito, che nei loro volantini non si accontentano
della cancellazione istantanea di ogni debito e memorandum,
dell’uscita dall’euro e della nazionalizzazione delle banche, ma
chiedono anche una nuova Costituzione che preveda il processo e una
«severa» punizione per Angela Merkel. L’accordo passerà anche,
ma andare avanti così è dura.
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