mercoledì 22 luglio 2015

Palma, il super consulente sulle carceri: «Gli agenti non facciano solo i guardiani».


Corriere della Sera 22/07/15
Mariolina Iossa
Due suicidi a Regina Coeli, in poche ore. Torna l’emergenza nelle carceri italiane. La polizia penitenziaria denuncia la mancanza di personale e chiede di usare lenzuola di carta. Che cosa si può e si deve fare subito? 
 «Non sono contrario alle lenzuola di carta, possono essere un aiuto in alcuni casi, ma ritenere che questa sia la soluzione è sbagliato. Bisogna fare molto di più». 
 Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale e consigliere del ministro della Giustizia per gli interventi in materia penitenziaria, auspica «un cambiamento di cultura politica, unica strada», dice, «per limitare il disagio nelle carceri, sia per i detenuti, sia per chi ci lavora». 
 Come intervenire in tempi rapidi? 
 «Va potenziato il personale, certamente, ma non solo da un punto di vista quantitativo, anche qualitativo, con corsi di formazione, perché gli agenti di polizia penitenziaria, a cui noi tutti dobbiamo molto, non devono essere considerati guardiani e basta, che chiudono le celle e controllano l’ordine. Molto spesso il personale, non per sua colpa, non è in grado di aiutare persone che non sono, diciamo così, criminali incalliti, ma sono soggetti fragili». 
 Ma sono il degrado delle strutture, il sovraffollamento, la solitudine, a scatenare tragedie come queste? 
 «L’Italia viene da una stagione di grave disagio a causa del sovraffollamento. Nel gennaio 2013 siamo stati sanzionati dal Consiglio europeo. Entro un anno abbiamo dovuto mettere le cose a posto perché pendevano, presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, quasi quattromila procedimenti. L’abbiamo fatto, spostando molte detenzioni verso forme alternative, senza abbassare il livello di sicurezza. Penso ai domiciliari, ai controlli esterni, all’affidamento ai servizi sociali. Al momento della sentenza della Corte, avevamo 45 mila posti per 66 mila detenuti. Adesso abbiamo 52 mila detenuti per 49 mila posti. Siamo ancora oltre il limite ma vicini ad azzerare il problema». 
 Quali sono allora le altre cause, e quali le soluzioni? 
 «Non siamo ancora riusciti a rendere la vita detentiva significativa in termini di tempo da impiegare per la rieducazione, per il reinserimento nel mondo del lavoro, per corsi di formazione interni. E non riusciamo a dare una mano ai soggetti più deboli. I detenuti, oggi, spesso sono tossicodipendenti, o persone che hanno vissuto storie difficili. Abbandonati a se stessi si sentono perduti». 
 E come si può fare? Servono soldi per questo. 
 «Vero, servono soldi ma soprattutto un cambiamento culturale. Il ministero ha avviato gli Stati generali delle esecuzioni penali, con 18 tavoli di confronto per discutere di ogni aspetto della vita di un detenuto. Il Parlamento sta discutendo la legge delega di revisione della 75 sull’ordinamento penitenziario. Primo punto, le strutture: useremo i fondi per trasformare le carceri esistenti e costruire con modalità diverse quelle nuove. Sono inumani quegli scatoloni di cemento con lunghi corridoi e tante celle con piccole finestre. Ci vogliono spazi per la socialità all’interno delle carceri. A fine anno avremo anche una nuova struttura dipartimentale penitenziaria».

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