giovedì 2 luglio 2015

La trasformazione di Maria Giulia: «Qui ammazziamo i miscredenti».


Corriere della Sera 02/07/15
Marta Serafini 

«Noi qui stiamo ammazzando i miscredenti per poter allargare lo Stato Islamico, ok?». Hanno parlato per ore su Skype Maria Giulia Sergio alias Fatima Az Zahra e sua sorella maggiore Marianna. Maria Giulia è in Siria, Marianna a Inzago, nell’hinterland milanese. La prima sta cercando di convincere la seconda a trasferirsi nello Stato Islamico e fare l ’hijrah , il pellegrinaggio. 
 È un quadro inquietante quello che emerge dalle intercettazioni che hanno portato nella notte tra martedì e mercoledì all’arresto di dieci persone a Milano. Figura centrale della vicenda, Maria Giulia, 28 anni. Fino al 2006 era una ragazza come tutte le altre, carina, studiosa. Frequentava l’Itsos Marie Curie di Cernusco. «Andava bene in latino, faceva l’ora di religione», spiegano gli insegnanti. Poi, nel 2007, la conversione. Alla Statale di Milano, facoltà di biotecnologie, Maria Giulia è rimasta impressa. «Veniva a lezione velata dalla testa ai piedi». 
 Nel 2008 si sposa con Jamal, un tunisino conosciuto in pizzeria. Ma Jamal non è sufficientemente integralista per lei, beve, non rispetta il Ramadan. Così alla la moschea di Treviglio Maria Giulia trova una donna, Lubjana, che promette di procurarle il marito giusto. Aldo Kobuzi, 23 anni, albanese: è lui il mujaheddin con cui coronare il suo sogno. Pochi giorni e i due si spostano in Maremma dai parenti di lui. Ma la destinazione finale è Gaziantep, Turchia, da cui entrano in Siria seguendo il percorso di tutti i foreign fighters. 
 Mentre aspetta che il marito torni dal campo di addestramento in Iraq, Maria Giulia parla con il padre. Accenna a un bambino ma non è chiaro se sia incinta o meno. Racconta di aver imparato a sparare col kalashnikov e di star seguendo l’addestramento. La studentessa ha definitivamente lasciato il posto alla jihadista. «Papà, non devi più lavorare… Sono loro che sono i nostri schiavi, non noi», strepita. Sergio è stato messo in cassa integrazione da una società di impianti elettrici, deve scegliere se tornare a lavorare o accettare il prepensionamento. Si è convertito, ma l’idea di trasferirsi in Siria non lo entusiasma. «Una volta lì posso comprare una macchina?», chiede. Anche Assunta, la madre, non è convinta: «E se poi non mi trovo bene?». «C’è anche la lavatrice?… Sai che mamma deve fare sette/otto lavatrici al giorno», si legge ancora nell’ordinanza firmata dal gip Ambrogio Moccia. 
 Le risa si alternano ai momenti di tensione: «Se non venite vuole dire che siete dei miscredenti e io non vi vorrò più bene». E non mancano le liti quando il nome di Maria Giulia finisce sui giornali. «Voi non dovete dire niente, capito? Bruciate tutto», ordina mentre i giornalisti assediano la palazzina color ocra di via Garibaldi. 
 Una famiglia intera, i Sergio. Italiani, tutti convertiti all’Islam già da prima che la figlia partisse. Tutti pronti a sostenere la causa jihadista. Marianna è la prima a cedere alle pressioni della sorella. Mette in vendita i mobili di casa su Internet. Il sogno sembra avverarsi, vivranno tutti nello Stato Islamico. Assunta fa il passaporto, Sergio si licenzia e prende i suoi 25 mila euro di liquidazione, Marianna divorzia dal marito. Il tutto mentre Maria Giulia organizza il viaggio con i suoi contatti in Siria e sentenzia: «Voi dovete capire questo, fino ad oggi noi abbiamo sbagliato nella vita perché abbiamo vissuto nel peccato». 
 Tutto sembra andare secondo i piani di questa ragazza che da adolescente sognava di diventare medico e di salvare i bambini dalle malattie. Fino a ieri, quando un’intera famiglia italiana è finita in manette con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo.

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