Corriere della Sera 21/07/15
Felice Cavallaro
PALERMO Al quarto giorno di clausura,
dopo i pianti e la ribellione, ecco Rosario Crocetta spostarsi dalla
francescana casetta di Castel di Tusa e comparire alle quattro del
pomeriggio a Palazzo d’Orleans.
Rieccolo nella sede del governo
regionale con le vetrate di fronte all’austero bastione di Palazzo
dei Normanni dove i grandi manifesti della Via Crucis più che ad una
suggestiva mostra di Botero fanno pensare a quello che lui definisce
come il suo «calvario». Pronto infatti ad attraversare oggi alle 16
quei cento metri per la seduta dell’Assemblea dove tutti invocano a
parole le sue dimissioni, ma dove tanti sperano di non vederle
rassegnare. Perché se va a casa Crocetta, vanno a casa tutti e 90 i
deputati.
Cosa dirà il governatore lo spiega al Corriere : «Dirò
che non posso dimettermi su una motivazione inesistente, su una
telefonata e su una frase smentite dalla Procura. Dirò che non sono
disponibile a subire all’infinito il martirio, deciso a continuare
a combattere il malaffare. Ma che, fatte alcune cose importanti per
la Sicilia, per questa terra che rischierebbe la fine della Grecia,
possiamo valutare con Parlamento e maggioranza, dentro il
centrosinistra, un percorso per una chiusura anticipata della
legislatura».
È un colpo di scena. Significa che si va al voto.
Entro poco tempo, conferma Crocetta: «Tempi brevi. Per poveri,
province, acqua pubblica, bilancio e sblocca-Sicilia potrebbe bastare
un mese». Sfibrato dai colpi secchi assestati alla sua storia di
paladino antimafia da chi lo presenta ormai solo come un impostore,
il governatore non abbandona le barricate, ma sembra cercare una
(dignitosa) via d’uscita sganciandosi comunque dall’infamia del
bollo impresso dalle intercettazioni in cui i suoi stretti amici
brigano e straparlano anche offendendo Lucia Borsellino.
Questa
più duttile posizione alleggerisce il peso caduto sulle spalle del
giovane segretario del Pd siciliano, Fausto Raciti, schietto nel
rimproverare Crocetta senza perifrasi: «Per la telefonata
inesistente l’ho difeso. Per le intercettazioni vere no. E queste
confermano l’esistenza di un cerchio magico che ha messo in piedi e
che g li sta facendo perdere la faccia. Un cerchio diventato un
governo parallelo, un sistema di rapporti che vede coinvolti l’ex
magistrato antimafia Antonino Ingroia, l’ex presidente
dell’Antimafia Beppe Lumia, il medico che sparlava di legalità
Matteo Tutino, il manager di Villa Sofia Giacomo Sampieri, e altri
registi non proprio occulti».
E adesso, come ipotizza il
presidente nazionale del partito Matteo Orfini, è possibile pure la
sfiducia a Crocetta? «Diciamo che si lavora all’uscita. Può
essere una settimana, un mese o due. Ma quando esci da una casa devi
lasciarla ordinata, se vuoi rientrarci. Il problema non è solo
staccare la spina, ma prefigurare un dopo, senza dimenticare che il
governo nazionale ha impugnato i bilanci 2016-2017, che non possiamo
procedere con esercizi provvisori, che rischiano il default senza
potere pagare gli stipendi...».
Ecco le cose da fare per evitare
l’effetto Grecia. Unico punto d’intesa fra Crocetta e Raciti. Per
guadagnare qualche mese, per varare riforme e provvedimenti
necessari. Ma Raciti è disponibile solo a patto che il governatore
volti le spalle al «cerchio magico»: «Deve dire basta alla
mitologia dell’antimafia ridotta a strumento di potere, a quel
modello da lui scelto come terreno di legittimazione, lo stesso che
adesso gli si ritorce contro, circondato da Tutino che si fa strada a
colpi di denunce, da Lumia che conosciamo bene e ancora di più da
Ingroia».
Potrebbe apparire una tardiva filippica, ma Raciti
assicura che la battaglia risale all’anno scorso, «quando io mi
misi di traverso per le Europee alla candidatura di Lumia preferendo
il professore Fiandaca e loro immediatamente risposero nominando una
sfilza di manager nella sanità». Raciti ha ritrovato questo
passaggio chiave fra le pieghe della risentita lettera di dimissioni
di Lucia Borsellino dall’assessorato alla Salute: «Racconta il
corto circuito fra lei e quel gruppo. Noi eravamo per lei. Noi del Pd
puntavamo su Lucia, non sugli altri. Ed è chiaro che Lucia ha
lavorato dall’interno per smontare tutto».
Nessun commento:
Posta un commento