mercoledì 22 luglio 2015

La resa del governatore «Un mese per le riforme Poi posso andarmene».


Corriere della Sera 21/07/15
Felice Cavallaro
PALERMO Al quarto giorno di clausura, dopo i pianti e la ribellione, ecco Rosario Crocetta spostarsi dalla francescana casetta di Castel di Tusa e comparire alle quattro del pomeriggio a Palazzo d’Orleans. 
 Rieccolo nella sede del governo regionale con le vetrate di fronte all’austero bastione di Palazzo dei Normanni dove i grandi manifesti della Via Crucis più che ad una suggestiva mostra di Botero fanno pensare a quello che lui definisce come il suo «calvario». Pronto infatti ad attraversare oggi alle 16 quei cento metri per la seduta dell’Assemblea dove tutti invocano a parole le sue dimissioni, ma dove tanti sperano di non vederle rassegnare. Perché se va a casa Crocetta, vanno a casa tutti e 90 i deputati. 
 Cosa dirà il governatore lo spiega al Corriere : «Dirò che non posso dimettermi su una motivazione inesistente, su una telefonata e su una frase smentite dalla Procura. Dirò che non sono disponibile a subire all’infinito il martirio, deciso a continuare a combattere il malaffare. Ma che, fatte alcune cose importanti per la Sicilia, per questa terra che rischierebbe la fine della Grecia, possiamo valutare con Parlamento e maggioranza, dentro il centrosinistra, un percorso per una chiusura anticipata della legislatura». 
 È un colpo di scena. Significa che si va al voto. Entro poco tempo, conferma Crocetta: «Tempi brevi. Per poveri, province, acqua pubblica, bilancio e sblocca-Sicilia potrebbe bastare un mese». Sfibrato dai colpi secchi assestati alla sua storia di paladino antimafia da chi lo presenta ormai solo come un impostore, il governatore non abbandona le barricate, ma sembra cercare una (dignitosa) via d’uscita sganciandosi comunque dall’infamia del bollo impresso dalle intercettazioni in cui i suoi stretti amici brigano e straparlano anche offendendo Lucia Borsellino. 
 Questa più duttile posizione alleggerisce il peso caduto sulle spalle del giovane segretario del Pd siciliano, Fausto Raciti, schietto nel rimproverare Crocetta senza perifrasi: «Per la telefonata inesistente l’ho difeso. Per le intercettazioni vere no. E queste confermano l’esistenza di un cerchio magico che ha messo in piedi e che g li sta facendo perdere la faccia. Un cerchio diventato un governo parallelo, un sistema di rapporti che vede coinvolti l’ex magistrato antimafia Antonino Ingroia, l’ex presidente dell’Antimafia Beppe Lumia, il medico che sparlava di legalità Matteo Tutino, il manager di Villa Sofia Giacomo Sampieri, e altri registi non proprio occulti». 
 E adesso, come ipotizza il presidente nazionale del partito Matteo Orfini, è possibile pure la sfiducia a Crocetta? «Diciamo che si lavora all’uscita. Può essere una settimana, un mese o due. Ma quando esci da una casa devi lasciarla ordinata, se vuoi rientrarci. Il problema non è solo staccare la spina, ma prefigurare un dopo, senza dimenticare che il governo nazionale ha impugnato i bilanci 2016-2017, che non possiamo procedere con esercizi provvisori, che rischiano il default senza potere pagare gli stipendi...». 
 Ecco le cose da fare per evitare l’effetto Grecia. Unico punto d’intesa fra Crocetta e Raciti. Per guadagnare qualche mese, per varare riforme e provvedimenti necessari. Ma Raciti è disponibile solo a patto che il governatore volti le spalle al «cerchio magico»: «Deve dire basta alla mitologia dell’antimafia ridotta a strumento di potere, a quel modello da lui scelto come terreno di legittimazione, lo stesso che adesso gli si ritorce contro, circondato da Tutino che si fa strada a colpi di denunce, da Lumia che conosciamo bene e ancora di più da Ingroia». 
 Potrebbe apparire una tardiva filippica, ma Raciti assicura che la battaglia risale all’anno scorso, «quando io mi misi di traverso per le Europee alla candidatura di Lumia preferendo il professore Fiandaca e loro immediatamente risposero nominando una sfilza di manager nella sanità». Raciti ha ritrovato questo passaggio chiave fra le pieghe della risentita lettera di dimissioni di Lucia Borsellino dall’assessorato alla Salute: «Racconta il corto circuito fra lei e quel gruppo. Noi eravamo per lei. Noi del Pd puntavamo su Lucia, non sugli altri. Ed è chiaro che Lucia ha lavorato dall’interno per smontare tutto».

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