sabato 3 gennaio 2015

Il caso Napoli e il pasticcio delle primarie.


Corriere della Sera 31/12/14
corriere.it
Il caso è a Napoli ma il tema è generale: le primarie per il Pd stanno diventando un problema. Ieri la direzione campana del partito ha deciso un ulteriore rinvio: si doveva votare il 14 dicembre, poi l’11 gennaio, adesso il 1° febbraio. Un balletto imbarazzante. E chissà, a questo punto, se le urne si apriranno davvero. A Roma infatti non sono per niente convinti, per usare un eufemismo, dei tre candidati finora in lizza: il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (sotto processo per abuso d’ufficio), Andrea Cozzolino (che nel 2011 vinse a Napoli primarie poi annullate per irregolarità) e la senatrice Angelica Saggese.
Ai vertici preferirebbero di gran lunga un unico nome (magari l’ex capogruppo di Sel approdato al Pd Gennaro Migliore) per evitare l’ennesima battaglia interna con il rischio, visti i precedenti, di accuse e contestazioni. Ieri a Napoli (quasi 300 persone in sala e clima «frizzante») la più applaudita è stata la segretaria regionale Assunta Tartaglione quando ha detto: «Decidiamo noi, non a Roma». Insomma, la Campania per Renzi è una grana e non a caso il vicesegretario Lorenzo Guerini ha preferito non presenziare alla riunione sperando che il rinvio a febbraio porti consiglio.
 Restano invece fissate all’11 gennaio le primarie in Liguria. I candidati stanno litigando su tutto, anche sull’ubicazione dei seggi. Ma i sospetti più velenosi riguardano la partecipazione indiretta alla competizione di ex del centrodestra (in particolare dell’ex senatore pdl Franco Orsi, aperto sostenitore di Raffaella Paita, la rivale più accreditata di Sergio Cofferati). 
Che si tratti quindi del rischio-brogli o del timore che al voto partecipino anche gli elettori del centrodestra, le primarie non sembrano più solo quella «risorsa democratica» celebrata in tante occasioni dai leader del centrosinistra. A settembre in Emilia-Romagna erano state un fiasco di partecipazione, anticipando per molti aspetti il grande flop dei votanti alle elezioni «vere». E poi sullo strumento aleggia anche lo «spettro» di Mafia Capitale. Nei giorni caldi dell’inchiesta il presidente del partito Matteo Orfini (nominato anche commissario del Pd romano) aveva detto: «Con la selezione della classe dirigente dall’esterno, con le primarie o le preferenze, il controllo delle infiltrazioni è molto complicato».

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