mercoledì 21 gennaio 2015

Se lo Yemen cade in mano sciita. 
Le mosse dell’Iran e di Al Qaeda.


Corriere della Sera 21/01/15
guido olimpio
Washington Barack Obama non poteva scegliere modello peggiore. Mesi fa, per illustrare la sua tattica anti-Isis, aveva citato quanto fatto nello Yemen contro al Qaeda. Un mix di azioni «coperte», incursioni di droni, aiuto all’esercito locale. Un successo, aveva detto il presidente. Ora lo Stato che domina l’ingresso meridionale del Mar Rosso rischia di non esserlo più, frantumato dalle molte guerre civili che si combattono sul suo territorio.

In queste ore il conflitto predominante è quello animato dagli Houthi, la comunità sciita del Nord che con il suo braccio armato Ansar Allah ha dato l’ultima spallata nella capitale Sana'a. Dopo una mattinata di tregua ieri i miliziani si sono impadroniti del palazzo presidenziale a Sana'a. I ribelli badano ai propri interessi — non sempre lineari — e fanno anche quelli di chi li appoggia in modo discreto: l’Iran. Per molti il rapporto è solido, sostenuto da attività clandestine, analisi contestata da quanti vedono un rapporto più fluido.

Gli osservatori insistono sull’agenda locale del movimento che vuole bilanciare con i propri muscoli e i kalashnikov il peso dei sunniti, vicini all’Arabia Saudita. Ecco che la faida yemenita — che sembra ripetere quelle di decenni fa — è lotta per il potere e in parte un segmento del conflitto tra le due grandi famiglie dell’Islam. Divisioni religiose che rendono ancora più aspre quelle politiche. Un prolungamento di quanto sta accadendo in Siria, in Iraq e in Libano.

Un successo marcato degli Houti nello Yemen preoccupa molti. Perché sono convinti che l’Iran non si farà sfuggire l’occasione per allargare la sua influenza in un punto geografico strategico. C’è la via d’acqua importante, la rivale Arabia Saudita è dall’altra parte del confine. Teheran, come altre capitali, ha cercato da tempo di tutelare una rotta sfruttata per sostenere «partiti» amici, come l’Hezbollah e Hamas. Un corridoio che risale Suez, tocca il Sudan, da qui il Sinai, infine Gaza. In alternativa supera lo Stretto e punta sul Libano. Presenza sottolineata anche dalle ripetute missioni in contrasto alla pirateria somala affidate a una flottiglia della Marina iraniana.

Il crollo yemenita porta, poi, altri guai. Un territorio «selvaggio», dove i fucili sono più comuni di un’auto, con frontiere permeabili e autorità inesistente è come la manna per i qaedisti. È quello che cercano costantemente, e non solo qui, per poter stabilire la loro base e attirare volontari, magari anche dall’Europa. In realtà gli estremisti sono molto più avanti, visto che da anni tengono testa all’esercito e agli americani.

Bombardamenti, raid, operazioni di intelligence che Washington ha lanciato insieme all’alleato saudita non hanno estirpato i qaedisti. Ne hanno uccisi a dozzine, ma i seguaci di Osama si sono dimostrati tenaci mettendo spesso in difficoltà i governativi. E poi, inevitabilmente, hanno aperto il fronte con gli sciiti mandando i loro attentatori suicidi a compiere stragi in stile iracheno.

Impegni che non hanno intaccato la volontà di partecipare alla campagna terroristica. Lo dice un exploit, magari solo propagandistico che però va considerato: i qaedisti locali hanno rivendicato gli attentati di Parigi a Charlie Hebdo . Saranno gli investigatori a stabilire se esista questo legame, ma se non vi fosse cambierebbe poco. Lo Yemen resta pericoloso. Una landa senza legge, un confronto infinito tra i molti clan, un vulcano di violenza che a volte può spargere i suoi lapilli molto lontano. È già accaduto e si ripeterà.



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