lunedì 5 gennaio 2015

Per la Curia è tempo di riforme, 
più che di nomine.


Corriere della Sera 05/01/15
corriere.it
Papa Francesco non è sotto scacco, come qualche raccolta di firme in suo favore fa credere. I nuovi cardinali sono un’iniziativa forte: indicano i vescovi che egli vuole come suoi consiglieri, cui tra l’altro è affidata la scelta del successore. Tutti pastori, eccetto un curiale. Ma il Papa non trascura la Curia. Le ha dedicato un grave discorso prima di Natale, chiedendo una riforma spirituale dei vertici per dare anima a quella istituzionale, da discutere nel prossimo concistoro. Vuole cambiare la Curia: due anni di papato lo confermano in quella che fu la richiesta dei suoi elettori. Per la Curia è tempo di riforme più che di nomine.

La «carità pastorale» è la chiave di tutte le nomine di Francesco. Lo si vede anche dai cardinali ultraottantenni da lui scelti. Non ha guardato alle carriere: un colombiano novantacinquenne che fu padre conciliare al Vaticano II e un vescovo mozambicano, che ricostruì la Chiesa dopo la rivoluzione. C’è anche un ex nunzio, Rauber, noto per un’intervista critica sulle nomine di Benedetto XVI.

Francesco, soprattutto, chiama le periferie a partecipare. Con quattordici cardinali vescovi, rafforza il legame con mondi lontani, immettendoli nei processi collegiali. Sono da tempo finite le nunziature «cardinalizie», i cui titolari ricevevano automaticamente la porpora. Ora cadono le diocesi «cardinalizie». I cardinali sono la voce di un popolo nel concerto della Chiesa, non più i titolari di una sede storica.

Mancava una voce portoghese e il Papa ha scelto Clemente di Lisbona, erede del cardinale Policarpo noto per il suo spirito aperto. Con la nomina dell’arcivescovo di Hanoi, il Vietnam mantiene la sua voce nel collegio cardinalizio. Il fervente popolo cattolico di Capo Verde, composto di tanti emigrati, trova spazio tra i cardinali. Le nomine in Asia e in Oceania esprimono l’attenzione del Papa alla parte meno cattolica del globo.

Francesco non guarda solo al mondo ecclesiastico. Disegna la geografia di una Chiesa, amica di tanti popoli (piccoli e grandi, cattolici e meno). Le periferie cattoliche sono rappresentate e, in qualche modo, entrano nel «centro».

Il Papa guarda anche all’Italia. Non ridimensiona il cattolicesimo italiano, come taluni vanno dicendo. Anzi lo vuole risvegliare. Gli dedicherà tempo con la prossima visita a una città complessa come Napoli, cui seguirà Torino. Il Papa segue una vita sua: non è legato ai meccanismi tradizionali di promozione cardinalizia, squilibrati a favore del Nord. Nomina due cardinali in Italia (è l’unico Paese): Francesco Montenegro, vescovo di Lampedusa e dei migranti, Edoardo Menichelli, vescovo pastorale e collaboratore del cardinale Silvestrini.

Dopo una fase di passaggio, Francesco ha maturato una leadership sull’Italia. Lo si vede con il discorso del 31 dicembre su Roma, estensibile all’Italia: «Quando una società ignora i poveri... quella società si impoverisce sino alla miseria, perde la libertà». Ha chiesto: «Siamo spenti, insipidi, ostili sfiduciati, irrilevanti e stanchi?». È una domanda anche per i cattolici italiani. Bisogna rimettere al centro i poveri in una Chiesa «pastorale». Con due nuovi cardinali-pastori, il Papa ripropone la «conversione pastorale».

Resistenze ci sono, espresse e inespresse in Curia e in Italia. Francesco lo sa e non fa guerre. Non teme il dibattito, anche se non ama si usi la stampa per lotte ecclesiali. Il suo programma l’ha indicato: l’ Evangelii gaudium . Su questo va avanti. E si è scelto nuovi compagni di viaggio.

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