domenica 4 gennaio 2015

«Pensione anticipata, rimborso a rate Convinceremo l’Europa che si può fare».

Corriere della Sera 04/01/15
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Yoram Gutgeld, da consigliere economico del premier, cosa la colpisce della vicenda dei vigili di Roma?

«Prima di tutto non vorrei che si facesse di tutta l’erba un fascio: abbiamo una Pubblica amministrazione che numericamente non è superiore alla media europea e che è fatta soprattutto da gente che lavora bene».


Ma...

«Ma la vicenda romana di fatto ci ricorda che qualche problema nella gestione delle malattie nel pubblico impiego c’è se i certificati dal 2011 al 2013 sono aumentati del 27%. Tutto questo richiede una gestione più attenta anche nel rispetto dei cittadini».


Pensa che trasferire le competenze sui certificati dalle Asl all’Inps sia la cura?
«È un’idea che va valutata tenendo conto degli aspetti organizzativi ed economici. I soldi sarebbero sempre pubblici ma l’Inps ha dimostrato di saperli adoperare meglio. Potremmo risparmiarci qualcosa».


La vicenda dei vigili sarà usata come grimaldello per inasprire le regole sul rendimento nel pubblico impiego?

«È materia oggi oggetto di una legge delega che ha l’obiettivo di rendere la Pubblica amministrazione più efficiente».


Pensa che si possa estendere il semplice indennizzo anche ai licenziamenti disciplinari nella Pa? E con quale strumento?

«Non voglio scendere nello specifico. Auspico che la riforma porti a usare i soldi pubblici con un criterio diverso: quello del merito, cioè dare di più a chi fa meglio e viceversa».


I sindacati chiedono di intervenire sulla materia con contratto e non per decreto.

«L’esecutivo è aperto ai contributi di tutti ma le norme che fa il governo poi passano per il Parlamento».


È giusto intervenire sulla struttura della retribuzione variabile quando quella fissa, oggetto anch’essa di contrattazione, è bloccata da anni?
«Il momento economico è difficile, mi rendo conto. Ma è anche vero che chi lavora nella Pa ha mantenuto posti di lavoro che altri hanno perso».

 Intanto l’Istat prefigura per la prima volta una ripresa. 
«Gli elementi positivi ci sono. Alcuni sono esogeni: da un lato la riduzione del costo del petrolio che noi importiamo, dall’altro la debolezza dell’euro e il piano della Bce».

 
Quelli interni quali sono?

«Abbiamo ridotto il costo del lavoro del 70% per i neoassunti a tempo indeterminato, e con il Jobs Act daremo una spinta interna forte per assumere di più».


Non ci sono altre misure per sbloccare la crescita?

«Tutti sanno che c’è il tema europeo dello scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit, soprattutto quando questi comportano interventi dei privati. E poi c’è il nostro tentativo di correggere il dato del Prodotto interno potenziale che, secondo dati Ocse, è maggiore di quanto stimato dalla Commissione europea, con il risultato che in realtà noi già oggi non saremmo in deficit».


Finora si è ottenuto poco.

«Che il piano Juncker, per quanto limitato, contempli che i contributi dei singoli Stati non vengano calcolati nel deficit è un primo passo. Ma c’è un altro tema che vorremmo porre all’attenzione dell’Ue».


Quale?

«Quello delle pensioni: la riforma ha messo sotto controllo il sistema, allo stesso modo in cui sono sotto controllo i costi della sanità. Tutto questo crea una dinamica di lungo termine della spesa pubblica migliore di quella di altri Paesi che però non ci viene riconosciuta. Questo perché il sistema di valutazione Ue guarda la contabilità anno per anno e non tiene conto dei risparmi di lungo termine».


Quindi?

«Quindi con il nostro sistema, che ormai è contributivo, se io pensiono anticipatamente un lavoratore con un trattamento inferiore a quello che gli spetterebbe, sto solo anticipando una spesa che recupererò dopo, con un rimborso a rate, non sto aumentando la spesa. Ma l’Ue guarda solo la spesa attuale».


State già discutendo di questo in sede europea?

«Lo faremo: anticipare la pensione sia pure con un trattamento inferiore a molti oggi potrebbe andar bene. Vogliamo renderlo possibile».


Farete un prelievo sulle pensioni più alte?

«Non è in agenda».


Finora la nostra dialettica con Merkel non è parsa diversa dalla solita contrapposizione flessibilità/austerità.

«Riconosciamo che Merkel ha un fronte interno che preme. Ma la discussione sulla flessibilità ormai è in corso e con tutte le riforme che porteremo a casa saremo sempre più credibili: sono ottimista».


Intanto a marzo ci attende un nuovo esame Ue sui conti pubblici. Teme che ci verrà chiesta una correzione?

«L’abbiamo già fatta nella legge di Stabilità. Se poi correggeremo l’ output saremo in surplus».


Dunque niente sfondamento del tetto del 3%?

«Faremo tutto entro le regole, ma vogliamo che cambino».


E se non cambiano?

«Con i “se” e i “ma” non si va da nessuna parte. Escludo scenari negativi».


Il caso Grecia e la paura di un fronte antieuro ci aiuta?

«Non serve guardare alla Grecia, è l’Europa che ha un evidente problema di crescita rispetto agli Usa, ad esempio».


Lo Stato entra nell’Ilva, cos’altro vuole ricomprarsi?

«Non c’è un ritorno allo statalismo ma solo un intervento straordinario per salvare un’azienda competitiva imbrigliata da questioni ambientali e giudiziarie. Anche gli Usa hanno aiutato le banche per un periodo di tempo limitato».


Parte la corsa al Quirinale. Tecnico, politico, outsider?

«Sul Quirinale c’è un metodo, un percorso tracciato: seguiremo quello».


Le spiace da economista che Mario Draghi si sia ritirato dalla corsa?

«Personalmente credo che al Quirinale non ci si possa né candidare né scandidare...».


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