domenica 4 gennaio 2015

Le tattiche dei due leader 
che non possono evitare l’intesa.


Corriere della Sera 03/01/15
Francesco Verderami
Tra Renzi e Berlusconi l’accordo è di fare l’accordo, e sul Quirinale per ora può bastare. Non c’è quindi bisogno di vedersi subito, tantomeno prima che Napolitano abbia formalizzato le dimissioni: è questione di galateo istituzionale ma anche di opportunità politica. Il patto del Nazareno regge e lo si vedrà fra una settimana, quando l’Italicum farà da stress test alla corsa per il Colle.
Il vero appuntamento tra il premier e il Cavaliere è fissato l’otto gennaio al «check point Charlie» del Senato sulla legge elettorale: l’accordo prevede che il leader del Pd ottenga l’approvazione della riforma prima del voto sul presidente della Repubblica, e che in cambio al capo di Forza Italia vengano garantite la norma sui capilista bloccati (con cui impedirebbe un’opa ostile nel suo partito) e la clausola di salvaguardia sull’entrata in vigore dell’Italicum (con cui si allungherebbe formalmente la legislatura almeno per altri due anni).

Qualsiasi modifica metterebbe a rischio il patto, ed è evidente che quanti si oppongono all’intesa di sistema tra Renzi e Berlusconi useranno Palazzo Madama come luogo per tendere l’agguato, consapevoli che gli effetti si ripercuoterebbero sulla partita per il Colle. Fino ad allora le sorti dei quirinabili saranno appese alle manovre dei leader di partito e dei loro avversari interni. Perché questo è il punto: lo stesso Parlamento che due anni fa bruciò ogni intesa prima di affidarsi ancora a Napolitano, oggi si ripresenta all’appuntamento maggiormente frammentato. E dunque, chi più riuscirà a tenere uniti i propri gruppi avrà la golden share all’atto decisivo.

È questa al momento la priorità del premier e del Cavaliere, sebbene i due già studino la tattica dell’altro. Berlusconi, per esempio, è convinto che «bisognerà lasciar fare Renzi», che «il nome vero uscirà all’ultimo momento». È un’opzione, che però si porta appresso dei rischi. Tuttavia le prime schermaglie consentono al presidente del Consiglio di capire su chi verrà posto il veto. Dicendo che non accetterà di votare «un candidato con la tessera del Pd», il Cavaliere sembra volersi realmente muovere d’intesa con i centristi.

«Dobbiamo fare asse insieme», ha spiegato l’altra sera l’ex premier a un dirigente di Ncd, ripetendo ciò che aveva detto alcune settimane fa ad Alfano. Sarebbe un’operazione «di blocco preventivo» rispetto ai quirinabili di stretto giro renziano, a quei ministri cioè che il leader democratico fa mostra di voler proporre: da Delrio alla Pinotti. Al tempo stesso sembrerebbe un segnale di apertura verso chi — come Veltroni e Mattarella — non è (più) dirigente del partito.

Ma siccome nessuno conosce meglio Berlusconi degli stessi berlusconiani (per quanto ex), sono pochi a volersi già ora esporre. Anzi, ieri il coordinatore di Ncd Quagliariello ha lanciato un messaggio pubblico double face: ha parlato a nuora Renzi, «sul Colle niente giochi», perché ascoltasse suocera Berlusconi. È stato un modo per accreditare le voci da tempo circolanti su un possibile accordo tra il Cavaliere e Prodi grazie agli uffici di Putin: l’intesa garantirebbe quella «pacificazione» a cui i dirigenti di Forza Italia mirano e che cela la richiesta della «riabilitazione» politica del loro leader.

Dal Pd sono arrivate autorevoli rassicurazioni, «non ci facciamo scegliere il presidente della Repubblica dal Cremlino», che sanno tanto di allergia verso il fondatore dell’Ulivo. Peraltro lo stesso capo di Forza Italia aveva pubblicamente smentito, dopo aver spiegato a un vecchio amico come Cicchitto che «a Prodi non ci penso proprio, figurarsi». Semmai, nei colloqui di queste ore, Berlusconi ribadisce in privato ciò che si era lasciato «sfuggire» in pubblico: «Io continuo a stare su Amato e aspetto che sia Renzi a propormi il suo nome». E se Renzi quel nome non lo proponesse, e se fosse anche questa una manovra diversiva? Ma soprattutto, chi avrà davvero la forza di opporre un veto al premier tra l’alleato di governo Alfano, che siede al suo fianco in Consiglio dei ministri, e l’alleato di opposizione Berlusconi, che ambisce ad essere kingmaker nella corsa per il Colle?

Di certo c’è che il premier intende chiudere un’era. Dagli albori della Seconda Repubblica, infatti, gli inquilini del Quirinale hanno giocato un ruolo diretto nelle vicende politiche: Scalfaro arrivò a porre il veto sulla squadra dei sottosegretari del governo Amato; Napolitano spaziò dalla lettera all’allora presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Vizzini, su alcuni emendamenti del lodo Alfano, fino alla telefonata con cui invitò Cuperlo ad accettare l’incarico di presidente del Pd. Che Renzi voglia cambiar verso è indubbio. Ma deve tenere in considerazione lo scrutinio segreto.

L’idea di tener coperto fino all’ultimo il nome del suo quirinabile può risultare pericolosa: tutti lo attendono al varco della quinta «chiama», quella decisiva. Se si andasse troppo oltre, il voto sulla presidenza della Repubblica si trasformerebbe in una lotteria, e quanti oggi si tirano ufficialmente fuori dalla corsa per il Colle potrebbero rientrarci sulle macerie del disegno renziano. Siccome il leader del Pd lo sa, allora può darsi che anche la sua tattica dilatoria sia solo tattica.




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