lunedì 12 gennaio 2015

UNA SCOMODA DENUNCIA DELL’ALBUM DI FAMIGLIA.


Corriere della Sera 11/01/15
corriere.it
All’Islam non servono ritrattazioni, dissociazioni, condanne. E diciamo la verità: chiedere ai suoi esponenti qualcuna di queste cose ha sempre un sapore sgradevolmente intimidatorio, specie se, come accade spesso, chi avanza simili richieste non sta a Bagdad o a al Cairo
ma vive ben rimpannucciato in qualche metropoli europea o americana. Oggi all’Islam serve altro: serve una Rossana Rossanda islamica (e spero che in questo caso l’evocazione
di una donna non scandalizzi nessuno). Qualcuno
ricorda? Era il lontano 28 marzo 1978, in pieno sequestro Moro. Tutto lo schieramento politico «democratico e di sinistra», come allora si diceva (cioè dalla Dc al Pci), s’interrogava sull’accaduto.

S i chiedeva quale misterioso progetto ideologico e quali reconditi burattinai stessero dietro le elucubrazioni delle Brigate rosse. In tutto questo, Rossana Rossanda — un’antica esponente comunista poi espulsa dal partito perché tra gli iniziatori dell’esperienza politica e giornalistica del Manifesto — ebbe il coraggio di dire ciò che era sotto gli occhi di tutti ma che fino ad allora nessuno a sinistra aveva osato quasi neppure pensare. E cioè che per capire il linguaggio e l’ideologia delle Br non c’era da andare molto lontano: l’una e l’altra erano infatti quelli del comunismo degli Anni 50, ben scolpiti nella memoria di tutti. Le Br, insomma, non venivano dal nulla, non erano delle schegge impazzite chissà come di chissà che cosa. Erano all’opposto, una pagina dell’«album di famiglia» della Sinistra italiana: una pagina obsoleta quanto si vuole, fuori tempo, ferma ad analisi ormai superate, insostenibili quanto si vuole, ma che un tempo erano state condivise da moltissimi perché facevano parte di un patrimonio comune a moltissimi. Anche se questi ora preferivano dimenticarlo. L’articolo della Rossanda s’intitolava appunto «L’album di famiglia». E naturalmente fece non poco scandalo.

Oggi l’Islam ha forse bisogno di uno scandalo analogo. Di qualcuno nelle sue file che abbia la lucidità intellettuale e il coraggio di dire che se nel mondo si aggirano degli assassini — non uno, non dieci, ma migliaia e migliaia di assassini feroci — i quali sgozzano, violentano donne, brutalizzano bambini, predicano la guerra santa, e fanno questo sempre invocando Allah e il suo Profeta, sempre annunciando di compiere le loro gesta in nome e per la maggior gloria dell’Islam, ebbene se ciò accade non può essere una pura casualità. Non può essere attribuito a una sorta di follia collettiva. Il mondo non è pazzo: qualche ragione deve esserci. Deve esserci qualche legame — distorto, frainteso grossolanamente, erroneamente interpretato quanto si vuole — ma un legame effettivo con qualcosa che riguarda l’Islam reale.

Che cosa? Non mi azzardo a dirlo. Non solo per paura delle conseguenze (esiste anche questa: e come potrebbe non esserci?), ma soprattutto perché chi scrive, così come del resto molti altri occidentali, siamo consapevoli di avere a che fare con un mondo che non è il nostro e che alla fine conosciamo ben poco. E che in questo mondo, perciò, ogni nostra affermazione, ogni nostra inevitabile semplificazione può offendere sensibilità, creare equivoci, suscitare sdegni pure legittimi.

Ma soprattutto perché un discorso sull’«album di famiglia», come si capisce, non può che venire dall’interno della famiglia stessa. In questo caso dall’interno dell’Islam, dalla sua intelligenza del momento storico e dei pericoli che si stanno addensando per tutti. Solo così conta qualcosa e può produrre qualche effetto.

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