domenica 4 gennaio 2015

«Atene dovrà comunque trattare 
con l’Europa».


Corriere della Sera 04/01/15
Maria Serena Natale
«Le prossime elezioni saranno una gara a due, Alexis Tsipras contro Antonis Samaras, e l’esito non è affatto scontato. Qualunque cosa accada, il prossimo governo dovrà trattare con l’Europa». Lo scrittore Christos Chomenidis è tra le voci più autorevoli del dibattito pubblico greco. Classe 1966, impostosi all’attenzione della critica con «Il bambino saggio» del 1993 (edito in Italia da Crocetti, 2004), nei suoi libri racconta la Grecia di oggi con passione e ironia. 
«Amo profondamente questo Paese che nella sua storia ha dato prova di grande forza — dice al Corriere —. Quando si esalta la Grecia come culla della civiltà spesso si dimentica quel che venne dopo, i secoli bui di dominazione ottomana, l’assorbimento nell’orbita balcanica. Nessun Rinascimento per noi. Eppure nell’Ottocento abbiamo saputo imboccare la via della modernità e cambiare il nostro destino. Dobbiamo continuare a credere nella democrazia ellenica». 
In nome di questo spirito democratico tre mesi fa Chomenidis ha lasciato il consiglio di sorveglianza di Nerit , l’emittente statale nata dalle ceneri della vecchia ERT che il governo aveva chiuso nel 2013, tra proteste e scioperi generali, a causa della crisi. Nella lettera di dimissioni denunciava «il diretto intervento dell’esecutivo» nella decisione di non trasmettere in diretta un discorso di Tsipras, leader della coalizione della sinistra radicale Syriza.  «La tv di Stato ha il dovere di essere al servizio dei cittadini, non dei politici».

 
Tsipras vuole rinegoziare il debito e rilanciare gli investimenti pubblici, ha un piano da due miliardi di euro destinato ai cittadini sotto la soglia di povertà per alzare le pensioni, reintrodurre il salario minimo, risollevare la sanità. Contro di lui Samaras, sostenuto dall’Europa, gioca la carta della responsabilità. 
Cosa si aspettano i greci? 

«Fin qui i greci hanno resistito grazie a una struttura sociale simile a quella italiana, basata sulla famiglia e sull’aiuto degli anziani ai giovani. Oggi sentono di non avere più nulla da perdere e di dover scegliere tra la paura per il futuro che li spinge verso Samaras e la speranza che li avvicina a Tsipras. Se la sinistra radicale avesse la meglio e riuscisse a formare un governo, dovrebbe riprendere i negoziati con la troika, trovare il modo di comunicare e collaborare con quell’Europa che oggi attacca e che in fondo conosce poco. Dopo aver promesso una rivoluzione che nessuno vuole davvero, non sono queste le condizioni migliori per cominciare una campagna elettorale».

 
Come giudica il programma di Syriza?
 
«Non colloco Syriza nella tradizione della sinistra del XX secolo. Tsipras mi ricorda l’argentino Juan Perón, non leader come Enrico Berlinguer. Il suo è un messaggio populista, quel genere di richiamo che cerca colpevoli — banche, Paesi stranieri, evasori fiscali — e punta tutto sulla capacità di attrarre consenso. Non è un vero progressista. Sul fronte dei diritti per esempio, quando gli è stato chiesto se intendesse appoggiare il matrimonio omosessuale, ha risposto che la società greca non è ancora pronta. È veloce, intelligente ma la sua visione è limitata all’orizzonte del partito nel quale è cresciuto. In Grecia diciamo che per capire una persona bisogna vederla governare, anche Tsipras avrà il suo momento di verità».


La socialdemocrazia di Pasok è fuori dai giochi? 

«Quando scoppiò la crisi, al governo c’erano i socialisti di George Papandreu, che furono travolti dal collasso economico. Pasok è stato poi in coalizione con Nuova Democrazia di Samaras, un governo che su temi come religione e nazione ha mostrato un’impronta fortemente conservatrice. La socialdemocrazia è una delle grandi vittime politiche di questa congiuntura».




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