mercoledì 14 gennaio 2015

UE: una tecnocrazia che prova a diventare democrazia.


Rossella Olivari
Se la politica interna dell'UE muove, finalmente, i suoi primi passi nella transizione da tecnocrazia a democrazia resta aperta tutta la questione della politica estera dell'Unione perché se come sostiene Zbigniew Brzezinski, politologo e consigliere di spicco della Casa Bianca in decisive operazioni come gli accordi di Camp David, non sono rilevanti per gli Usa le nostre questioni di amministrazione interna, finchè con queste intendiamo la gestione tecnocratica avuta sino ad ora, ciò non vale per la politica estera, tanto che lo studioso teorizza per l'Unione una sorta di protettorato statunitense che consenta l'uniformità delle decisioni e garantisca la preminenza mondiale americana. Se prendiamo atto di questo allora fondamentale sarà la direzione che daremo ai negoziati per il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, ora in atto, quale lettura daremo di quanto è stato in Ucraina, di quanto è ora, come gestiremo i rapporti con la Russia, i capitoli Nord Africa e immigrazione.
Ma veniamo all'anno appena trascorso.
Il 2014 è certo stato un anno cruciale per l'Unione Europea e per l'Italia. Le elezioni di maggio hanno accordato al nostro partito un vastissimo consenso affidando ad esso un ruolo di primo piano anche nelle questioni europee. Questi mesi hanno visto la formazione della nuova Commissione a presidenza Juncker, l'elezione di Federica Mogherini alla carica di Alto Rappresentante, il semestre di Presidenza Italiana dell'Ue che si chiuderà ufficialmente il 13 gennaio con il discorso di conclusione di Matteo Renzi a Strasburgo.
A novembre Juncker, intervenendo davanti al Parlamento riunito in sessione plenaria, ha inaugurato così la prima scelta di politica interna della sua Commissione:
“L'Europa volta pagina dopo anni di lotta per ristabilire la nostra credibilità di budget e promuovere le riforme (...) ORA AGGIUNGIAMO IL TERZO VERTICE DEL TRIANGOLO VIRTUOSO: UN PIANO DI INVESTIMENTI AMBIZIOSO MA REALISTA (…) Investire in Europa è molto di più di numeri e progetti, piuttosto che fondi e regole. Dobbiamo inviare un messaggio agli europei e al mondo: l'Europa è tornata. Il passato è dietro di noi. Investire è girarsi verso il futuro (…) quello che faremo sarà mettere in campo un sistema adeguato che permetta di utilizzare i soldi pubblici disponibili (…) dovremo esaminare minuziosamente i progetti su cui investire ( educazione, innovazione, salute, green economy, nuove tecnologie, Europa sociale ndr) … CREIAMO UN NUOVO FONDO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI STRATEGICI (…) NELLA MISURA DI 315 MILIARDI DI EURO NEI PROSSIMI TRE ANNI.” Cit.
(discorso completo http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-14-2160_fr.htm video http://ec.europa.eu/avservices/video/player.cfm?ref=I095718 )
Juncker pur non rinnegando in toto la politica di austerità, come la Merkel appartiene al Partito Popolare Europeomail, finalmente associa e mette sullo stesso piano il parametro della crescita a quelli, sino a ora perseguiti, della stabilità monetaria e del rigore dei conti.
Quindi così comincia questo governo europeo di larghe intese, dove il peso della componente Socialisti e Democratici, anche se minoritaria, si fa sentire attraverso questo cambio di rotta importante. Ma l'abbandono, anche se non ancora molto marcato, dell'austerità non è solo un cambio di paradigma economico è un primo assist che le forze europeiste e principalmente il gruppo S&D hanno fatto a Parlamento e Commissione al fine di creare una politica interna dell'Unione forte, coesa e unitaria, che trasformi le istituzioni europee in un organismo sovrano e democratico in grado di assumere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale.
Questa è la sfida dei Democratici: perseguire l'abbandono dell'austerità perchè da qui comincia l'abbandono dell'idea che “la politica interna europea sia la sommatoria delle politiche dei singoli stati, con l'accortezza che non ci si pesti troppo i piedi” per costruire una politica che tuteli l'interesse dell'Unione nella sua totalità.
Il momento è decisivo: se il progetto europeo fallisce, limitandosi al ruolo di gestore tecnico delle contese economiche tra gli stati, il continente si condanna, definitivamente, alla marginalità e al declino.

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