venerdì 30 gennaio 2015

Matteo telefona a Silvio “Le urne se salta lui riforme anche da soli”


FRANCESCO BEI
La Repubblica 30 gennaio 2015
Stavolta nessun incontro. Per sancire lo strappo basta una telefonata. A mezzogiorno Renzi consulta Berlusconi per l’ultima volta. Il leader di Forza Italia parte in quarta chiedendo al premier di fare marcia indietro. «Vi abbiamo concesso il ballottaggio sulla legge elettorale e anche il premio di lista. Ora ci aspettiamo un uguale ascolto da parte vostra sul Quirinale». Ma per Renzi il piano del Nazareno, quello delle riforme, deve restare separato dal Colle.
Inoltre, ricorda Renzi, «nella legge elettorale ci sono cose che piacciono anche a voi: proprio il premio di maggioranza alla lista sei stato tu il primo a suggerirlo. Tutta la filosofia dell’Italicum è in linea con quello che hai sempre detto». Berlusconi, da buon venditore, cambia argomento e riattacca sul Quirinale: «Ci avevi promesso Amato e non hai rispettato il patto». «Non è vero — replica il segretario Pd — tu pensavi di impormi il vostro candidato, ma io non ti ho mai promesso niente ».
Il colloquio, riferiscono i presenti, si fa sempre più teso. I toni si accendono. È Berlusconi, amareggiato per essere finito con le spalle al muro, ad alzare il tiro. «Se voi andate avanti su Mattarella, per quanto mi riguarda tutti gli accordi sono definitivamente messi in discussione». È la minaccia più grave, quella di far saltare il patto del Nazareno e sfilarsi dal sostegno alla riforma elettorale e quella costituzionale. Sulla carta la maggioranza ci sarebbe ancora, ma il segretario sarebbe esposto a qualsiasi ricatto della minoranza interna al Pd. È un’arma finale e Renzi risponde rilanciando a modo suo. Con una minaccia altrettanto forte: «Va bene, fai pure. Per me non è un problema, io vado avanti anche senza di te». Che sia un bluff, uno sfogo o una mossa calcolata, di certo sortisce qualche effetto. Perché l’ex Cavaliere torna alla fine colomba e si lascia uno spiraglio d’uscita: «Non c’è bisogno di rompere, aspetta. rivediamoci appena torno a Roma la prossima settimana. Noi voteremo bianca anche al quarto scrutinio». Un segnale, quello della scheda bianca su Mattarella, che serve a lanciare un ponte verso l’altra sponda. Senza contare che offre (a differenza dell’uscita dall’aula) la possibilità di far giungere sottobanco alcuni voti forzisti al nuovo presidente se dovessero eventualmente mancare. Che il clima possa cambiare lo fa capire anche Matteo Orfini. A sera, in Transatlantico, confida infatti che il Pd «chiederà al centrodestra un supplemento di riflessione » su Mattarella. Francesco Bonifazi, renziano di ferro e tesorie- re Pd, conferma: «Possiamo tendere loro una mano per farli rientrare con dignità».
Alla fine di una giornata in cui il Pd sembra finalmente pacificato, è quasi di tempo di bilanci. Anche se, a palazzo Chigi, Renzi si mantiene prudente. Forse per scaramanzia, pur dichiarandosi «ottimista», con i suoi ammette che «l’elezione non è ancora in cassaforte». Certo, il Pd stavolta sembra «serio e convinto», ma che qualcuno ne approfitti per consumare le proprie vendette lo dà per scontato: «I franchi tiratori ci saranno, ma in una quota fisiologica. Non più di 40-45 e, anche senza Ncd, dovremo stare sui 530-550 voti al quarto scrutinio». Grazie forse a qualche apporto grillino e dall’Ncd. Per Renzi resterebbe un obiettivo ragguardevole quello di aver «dimezzato i franchi tiratori del 2013».
Qualcosa, sotto la superficie piatta dell’unanimità, per la verità già emerge. Tra i bersaniani si raccolgono sospetti contro i turchi che «non voteranno Mattarella perché speravano in Amato ». I turchi replicano che saranno semmai i seguaci di Bersani a smarcarsi da Mattarella «perché scontenti rispetto alla decisione del loro stesso leader di non aver fatto a Renzi il nome della Finocchiaro ». Insomma, Renzi per primo sa bene che il fuoco cova ancora sotto la cenere. Anche per questo ci tiene a far circolare un monito preciso. «Dio non voglia, se non passasse Mattarella sarebbe un bruttissimo segnale per il governo...e anche per la legislatura ». Anche per questo ieri mattina ha voluto incontrare il magistrato anticorruzione Raffaele Cantone, per far capire a tutti che un Presidente della Repubblica sarebbe comunque eletto. Magari con i voti dei cinque stelle. Ma a quel punto senza garanzie per nessuno. Un pratico Davide Zoggia, bersaniano di ferro, ieri alla buvette spiegava ad alcuni giovani deputati un dato di fatto elementare: «Mattarella non scioglie le Camere, Cantone sì. Regolatevi».
Resta il problema del rapporto nel governo con Angelino Alfano. Il leader Ncd ha iniziato a piantare un seme dentro Forza Italia in vista delle prossime elezioni, in mancanza di qualsiasi segnale di apertura da Renzi. Ma il premier, con i suoi, ribalta il ragionamento: «Possiamo anche ragionare insieme sulla prospettiva politica da qui al 20018, ma che senso ha rompere sul presidente della Repubblica? Alfano mi ha fatto due nomi, era un prendere o lasciare, non potevamo accettare ». Convinto che «Angelino » si chiami fuori «in un passaggio storico» e solo per «mettersi in scia di Berlusconi», Renzi pone un’altra domanda: «Non voteranno Mattarella per un fatto di principio. Bene. Ma se Mattarella non passa, Angelino che fa?".

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