mercoledì 21 gennaio 2015

Gli sms nervosi e le cravatte allentate. 
In Aula lo psicodramma della fronda.


Corriere della Sera 21/01/15
corriere.it
Ci sono scene che spiegano molto.
 Questa in ascensore, per dire.
 Il senatore Francesco Nitto Palma è saltato dentro con un balzo.
 Spinge il pulsante «T», sbuffa, alza il suo sguardo classico (non capisci mai se è un ghigno di disprezzo, o una smorfia di pazienza).
 «Che c’è?».
C’è che il patto del Nazareno tiene, no? 
«Noi di Forza Italia, qui a Palazzo Madama, votiamo come è stato deciso. Punto. Anzi, punto e basta».
 E Fitto? E i fittiani?
 «I fittiani? I fittiani non esistono. Se riescono ad arrivare a dieci, è tutto grasso che cola». 
Stavolta il ghigno era proprio di disprezzo. Le porte si aprono, esce, va a farsi un giro di Burraco («Il suo amico Ciro Falanga, l’altro giorno, gli ha vinto 20 euro, e adesso deve dargli la rivincita»: è la voce divertita di Monica Cirinnà, senatrice del Pd).
 Risalire.

Tornare al primo piano, attraversare il corridoio dei busti, cercare Miguel Gotor.
 Raccontano che il capo dei rivoltosi bersaniani sia piuttosto nervoso. Ci sono politici capaci di nascondere sentimenti, lacrime, sudore. Gotor, no: Gotor fu arruolato da Bersani per coprire il ruolo dell’intellettuale non organico, forse per fare persino il ministro della Cultura — studioso di santi, eretici e inquisitori, filologo di Aldo Moro, ricercatore di Storia moderna a Torino — ma non ha mai subìto una reale mutazione genetica; è rimasto un professore universitario e così, se si arrabbia, o si dispiace, o se capisce di aver perso, si vede.

 Un paio d’ore fa, nella sala Koch, durante l’assemblea dei senatori del Pd, atmosfera tesa, la Boschi vestita di nero, Gotor se ne stava lì, seduto al centro. Molto irrequieto, con la cravatta allentata, le mani sul cellulare per mandare sms, riceverli, rispondere, e poi guardarsi intorno, guardare soprattutto lui, Matteo Renzi, che l’aveva definito «il mio nemico preferito» (quando il bersaniano Paolo Corsini s’è alzato annunciando un documento politico ostile all’Italicum redatto proprio da Gotor e firmato da 29 senatori, Renzi ha deglutito, il capogruppo Luigi Zanda s’è passato una mano tra i capelli, Giorgio Tonini e Stefano Lepri si sono guardati come di solito si guardano quelli che finiscono su «Scherzi a parte»).

 Gotor, l’avete fatta grossa.

«Abbiamo seguito la nostra coscienza». 

Qualcuno, però, adesso sembra pentito. 

«Vuol sapere se qualcuno dei 29 sta cambiando idea e, invece di uscire dall’Aula, resterà? Non lo so, può darsi. Problemi loro. Io non voglio essere corresponsabile di questa penosa, tragica vicenda...». 

Sta usando toni forti. 

«Vogliono far passare una legge elettorale decisa solo con Verdini. Il 70% di eletti da Renzi e Berlusconi, il 30% di eletti con le preferenze. Una vergogna assoluta. Io, per coerenza, mi tiro fuori. Altri faranno come me, altri magari no... Quello lì, per esempio, cosa farà?». 

Indica Ugo Sposetti.

 Sposetti, in verità, durante l’Assemblea, è stato autore di un intervento vibrante e raffinato, ha ricordato che un gruppo parlamentare ha il dovere della sintesi, della compattezza, che non è possibile dividersi in vinti e vincitori.

Passa la senatrice Donella Mattesini. Chiama Sposetti: «Ugo, sei stato bravissimo. Dobbiamo restare uniti!». Arriva la notizia che tre dei 29 ribelli ci avrebbero ripensato ufficialmente: sono la Puppato, la Idem e la Albano. Voteranno sì all’ormai celebre «emendamento Esposito», costruito per inglobare tutti gli accordi di maggioranza sull’Italicum, e che quindi farebbe decadere altri 48 mila emendamenti. Il senatore di Gal, Vincenzo D’Anna, spiega che, a questo punto, «più che di Italicum sarebbe opportuno parlare di Espositum». I bersaniani paiono ostinati e giurano che sul loro pallottoliere continuano comunque a contare 29 dissidenti. Fitto spedisce sms ai suoi: e i fittiani conteggiati sarebbero forse anche venti (magari non andate a dirlo a Nitto Palma).

 Alla buvette c’è Mario Michele Giarrusso (M5S).

 «Che spettacolino... Noi grillini siamo contrari a questo schifo di legge imposto da Renzi e Berlusconi. Purtroppo, ormai c’è poco da fare...».

 Gira voce che Sel e Lega proveranno ad allungare i tempi. Roberto Calderoli, per lunghi minuti, tiene magnificamente l’Aula.

 Magnificamente, poi, è chiaro: dipende dai gusti.

 Augusto Minzolini esce.

 Minzolini, da qualche tempo, viene arruolato tra i rivoltosi di FI. Ma se vai a dirglielo, lui s’infuria. La verità è che ti trovi davanti a un senatore che ragiona con la testa di un cronista politico. Salta d’istinto qualche passaggio, rischia, bleffa, intuisce.

 «Che noia ormai parlare d’Italicum... dai, parliamo piuttosto di Quirinale! Io dico che Berlusconi spinge per Amato. Ma se Renzi, che come Nerone vive di sospetti, non ci casca, allora potrebbe comparire una figura simile a Mattarella...».

Tipo? 

«Tipo Ugo De Siervo... Oh, ma io non v’ho detto niente... Non mettetemi nei casini»

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