giovedì 29 gennaio 2015

«Atene resterà nell’euro
Italia, ancora flessibilità».


Corriere della Sera 28/01/15
Luigi Offeddu
«Il 2015 sarà l’anno della ripresa in Europa. Ma se non agiamo insieme, sarà troppo lenta, e debole. Perciò concentriamo tutti le nostre energie. Con i piani Juncker e Draghi, con le riforme strutturali e il consolidamento dei bilanci pubblici, possiamo sperare. Ma i soldi non pioveranno dal cielo: dobbiamo agire di più, tutti». Pierre Moscovici, francese, è il commissario europeo agli Affari economici e finanziari, alla tassazione e alle dogane. E come tutti, guarda preoccupato a un’Unione Europea presa in contropiede dalla cronaca di queste ore. L’Eurogruppo e l’Ecofin, i consigli dei ministri delle Finanze dell’Eurozona e dell’Ue, si sono appena conclusi con molti auspici sul futuro della Grecia di Alexis Tsipras, ma poche indicazioni concrete su come affrontare la sua nuova realtà.

Domanda di sempre: la Grecia resterà nell’euro?

«La Grecia ha la capacità di creare lavoro, di ripagare i suoi debiti. E non mostra segni di instabilità. Il suo posto resterà nell’Eurozona. Affronteremo in modo chiaro con Alexis Tsipras la questione del debito. La domanda non è: “Dove vuoi andare?”. Ma: “Come vuoi andarci?”».

State già negoziando con Atene?

«No. I colloqui inizieranno. Aspettiamo che il governo greco esprima la sua volontà, che dica come rispetterà i suoi impegni, che la sua maggioranza esprima chiare decisioni. Ci congratuleremo con Tsipras e i suoi ministri (cosa avvenuta nelle ultime ore, ndr ). Affronteremo insieme le sfide verso obiettivi che sono comuni».

Tutti o quasi, a Berlino e altrove, anche se con diverse sfumature, escludono recisamente una cancellazione o riduzione del debito greco. Ma una sua diluizione nel tempo, di cui pure si continua a discutere?

«Non è oggi il giorno per parlarne, è davvero troppo presto».

Lei parla di impegni che Atene deve rispettare, sul deficit e sul debito. Ma altri, nell’Eurozona, devono fare la stessa cosa: per esempio la Francia, l’Italia...

«Loro però non si trovano nella stessa posizione. La Grecia è sottoposta al programma di aggiustamento di bilancio e dell’economia finanziato da eurozona e Fmi, l’Italia si trova nel cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità, la Francia in quello correttivo…E tutti questi Paesi devono completare le riforme strutturali».

Pier Carlo Padoan, ministro italiano dell’Economia, dice che senza flessibilità non ci sono riforme.

«Il ministro Padoan lo sa bene: noi non vogliamo cambiare le regole del Patto di stabilità, ma interpretarle. Non vogliamo un cambiamento globale, e però un cambiamento tattico sì: vogliamo usare lo spazio di manovra — non disprezzabile — che c’è in esse. Così da introdurre poi un reale livello di flessibilità per i Paesi in difficoltà. Abbiamo concordato che per tutti i Paesi dobbiamo tener conto delle condizioni cicliche, dei tempi buoni e di quelli cattivi. Detto in altre parole: all’Italia sarà richiesto un aggiustamento strutturale del saldo di bilancio 2015 dello 0,25% invece che dello 0,5%, fino a quando vi saranno difficoltà».

Fra un mese o poco più, a marzo, la Commissione Europea esprimerà il suo giudizio sul piano italiano di stabilità. E naturalmente, niente anticipazioni.

«Naturalmente no. L’Italia deve andare avanti con la riforma del lavoro e con le altre riforme strutturali, con gli sforzi intelligenti per ridurre il deficit e il debito».

Nel frattempo, c’è un altro faro verso cui molti guardano speranzosi: la Bce guidata da Mario Draghi, che ha iniziato le sue operazioni di salvataggio acquistando i titoli di Stato di vari Paesi, e così iniettando liquidità nei mercati finanziari…

«Sì. Ma nessun Paese creda che aver più ambizioni nella politica monetaria possa essere la scusa per non fare le riforme strutturali. La nostra prospettiva di ripresa è sempre la stessa: consolidamento dei bilanci, cioè riduzione di debito e deficit con più flessibilità; riforme strutturali; contrasto alla deflazione, cioè riportare l’inflazione ai livelli fissati dalla Bce».

E il piano Juncker con i suoi auspicati 315 miliardi di investimenti produttivi nel giro di tre anni?

«Realizzerà la nostra ambizione di ridurre il divario di competitività con altri Paesi al di fuori dell’Europa. Aiuterà la crescita interna, e anche questo è stato spiegato con molta precisione: se un Paese vorrà investire dei soldi nel piano Juncker, questi non saranno conteggiati nel calcolo del deficit. Ripeto: il 2015 dovrà essere l’anno della ripresa, ma i soldi non pioveranno dal cielo».




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