lunedì 26 gennaio 2015

L’incontro riservato con il Cavaliere 
Ma il leader cerca un nome per unire il Pd.


Corriere della Sera 25/01/15
Maria Teresa Meli
«Il nostro primo obiettivo è creare l’unità del Pd sul Quirinale, perché il partito di maggioranza deve presentarsi compatto a questo appuntamento, è una questione di responsabilità». Manca una manciata di giorni all’ora X, ma Matteo Renzi non sceglie ancora un nome. O, meglio, non ufficializza la sua decisione. «In questo momento — spiega ai suoi — dobbiamo trovare una personalità che vada bene al più ampio numero di forze politiche, e innanzitutto al nostro partito, perché i voti del Pd non possono essere sostituiti da quelli di Forza Italia. E, comunque, una cosa è certa: non possiamo intestarci una sconfitta in questo frangente».

Il premier, prima degli incontri ufficiali, dovrebbe vedere in via riservata, Bersani e Berlusconi. Con il secondo l’appuntamento dovrebbe essere martedì mattina, se non prima, con Bersani forse già domani, anche se questo incontro, il più delicato, viene smentito da molti.

Sondare i due per Renzi è importante perché, per quei paradossi che la politica italiana spesso presenta, al patto del Nazareno sembra essersi sostituita un’altra intesa che i renziani hanno battezzato ironicamente «Berlber» o «Berber». Ossia l’asse Berlusconi-Bersani, favorevoli alla candidatura di Amato, visto da entrambi come l’uomo che può condizionare il premier. Il quale, ovviamente, a questo punto, non ha intenzione alcuna di dire di sì ad Amato. «Non ho nulla di personale contro di lui, questo sia chiaro», ha tenuto a precisare ai suoi Renzi. Che, però, per come si sono messe le cose nutre una grande perplessità «per il modo in cui è nata questa candidatura», a «prescindere dalla volontà» dello stesso Amato. Nel Pd c’è chi è addirittura convinto che tra Berlusconi e Bersani ci siano degli ufficiali di collegamento che hanno favorito la nascita della candidatura di Amato, e c’è chi punta l’indice contro i lettiani.

Comunque, i nomi con i quali Renzi può giocare la sua partita quirinalizia sono diversi. Per ora il premier si limita a delineare solo un identikit del «suo» candidato: «Deve essere una figura che gli italiani sentano come rappresentativa e non deve quindi essere divisiva». Ma l’elenco delle candidature ha subito un drastico ridimensionamento dopo che gli sherpa del Pd incaricati dalla segreteria di sondare gli umori dei gruppi parlamentari dem hanno raccolto un orientamento di massima che esclude tutti gli ex segretari più o meno recenti della «Ditta» e non. Il che esclude dalla lista dei papabili diversi nomi di peso: Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini, Piero Fassino, Pierluigi Castagnetti, Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini. Un elenco abbastanza lungo.

Restano quindi in campo, almeno al momento, tre nomi. Quello di Sergio Mattarella, in «pole position». L’ex ministro, infatti, non viene visto dalla minoranza del Partito democratico come un garante del patto del Nazareno e, anche se Berlusconi è perplesso sul suo nome, non c’è un «no» senza se e senza ma su di lui da parte di Forza Italia.

In campo anche Sergio Chiamparino. Un nome del Partito democratico, che però non vede l’ostilità dell’ex Cavaliere e che viene giudicato autonomo da tutti. Infine, c’è Pier Carlo Padoan, il ministro dell’Economia. Se dovesse abbandonare il suo dicastero per salire al Colle verrebbe sostituito da un ministro politico.

E sono ancora in corsa, nonostante tutto, i tecnici. Due nomi per tutti: il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ed Elena Cattaneo, l’accademica nominata senatrice a vita da Giorgio Napolitano. Ma qualcuno nel Pd scommette che «alla fine per mettere d’accordo tutti si potrebbe giocare la carta istituzionale con il presidente del Senato Pietro Grasso».

Il premier, però, ieri si è occupato molto poco di Quirinale. In realtà la sua attenzione si è incentrata di più sui problemi del governo. Almeno fino a quando non è stata distolta dai discorsi tenuti in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. Discorsi che, ha confidato ai suoi, lo hanno «fortemente impressionato».

In molti procuratori si sono scagliati contro il premier e il suo esecutivo. Uscite che hanno lasciato «letteralmente» di stucco Renzi. «Non avevo mai sentito — ha spiegato ai collaboratori — delle polemiche così dure e degli attacchi così violenti nei confronti di un presidente del Consiglio e del governo. Pazzesco, una cosa imbarazzante, non hanno mai trattato in questo modo nemmeno Berlusconi».

Già, quello con la magistratura è un altro fronte aperto per il presidente del Consiglio. E non è l’unico. Ma nell’immediato è il problema del Quirinale che Renzi dovrà risolvere.




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