mercoledì 19 giugno 2013

«Primarie con la tessera? Una follia. E non si può avere paura del leader»



Intervista con Pippo Civati



«Primarie con la tessera? Una follia. E non si può avere paura del leader»
«Cambiare le regole del congresso è una follia. Ti sei dimesso da segretario del Pd e poi vuoi condizionare le regole per eleggere il prossimo?». Di fronte all’ipotesi ventilata da Pier Luigi Bersani di primarie aperte solo agli iscritti, il candidato Pippo Civati non può stare zitto. Ma l’intervista con Europa è anche l’occasione per parlare dell’appuntamento di Reggio Emilia, dal 5 al 7 luglio, il Politicamp che di fatto lancerà la sua candidatura a segretario. Il titolo, “Viva la Libertà”, è un omaggio al film di Roberto Andò (ospite della convention), una fiaba politica che molti hanno definito «profetica» nel tracciare la figura di Giovanni Ernani, il fratello gemello e un po’ matto del segretario di un partito per molti aspetti simile al Pd bersaniano.

Chi è Giovanni Ernani: Renzi, Grillo, Veltroni, Civati?
Non lo so, lo vedo come una figura capace di andare oltre un discorso razionale e misurato come è stato quello di Bersani in campagna elettorale. Il gioco di Giovanni Ernani è liberatorio e forse è difficile da replicare, per cui non c’è in realtà un Ernani. Non puoi solo assumere la realtà per quella che è, non basta dire che al governo delle larghe intese “non ci sono alternative”, quello è uno slogan di destra, lo diceva la Thatcher. Ernani è capace di spalancare un mondo e un punto di vista nuovo che abbiamo soffocato per troppi anni. In questo senso in Ernani c’è un po’ di Renzi, di Civati, di Veltroni, di Grillo…
Come giudica il documento anti-Renzi dei bersaniani?
Sembra un documento di gennaio, di un’altra epoca. Sai, il tempo non è sempre uguale, ci sono giorni che durano anni e purtroppo oggi sono passati anni da quella fase. Io sono accusato di essere stato leale con Bersani però trovo incredibile che ora torniamo a discutere in questi termini. Tuttavia non sottovalutiamo la resistenza dei gruppi dirigenti di un certo Pd che ha sempre avversato oltre a Renzi anche me.
Oggi Bersani a Repubblica dice: il segretario sia scelto da primarie aperte solo agli iscritti. Di fatto un cambiamento dello statuto del Pd.
E’ una follia. Intanto il pulpito è importante: il fatto che lo dica uno che si è dimesso non è indifferente, la legittimità politica è un po’ fragile. In realtà abbiamo visto che più che dimessi si sono tutti un po’ rimessi. Io mi incazzai quando furono cambiate le regole delle altre primarie, anche se non parteggiavo per Matteo. Non dobbiamo avere paura degli “infiltrati”, delle persone, degli elettori. Ma chi viene al congresso del Pd se non lo teniamo aperto?
Sul web lei è sempre il più votato. Con le sue posizioni sul Quirinale o sul governo Letta sembra aver scommesso più sul consenso “esterno” che si quello “interno” al Pd. In caso di primarie aperte non solo ai tesserati il suo peso elettorale rischia di essere un po’ sottovalutato dentro il partito?
Io non ho fatto calcoli nel senso che i calcoli mi avrebbero suggerito altri comportamenti visto che sto nel Pd. Io ho soltanto voluto manifestare un sentimento che vedevo nelle persone che incontro. Sto pagando un prezzo altissimo, non solo in termini di incarichi e di spazi, ma di un atteggiamento un po’ snobistico e anche un po’ stronzo che vedo nei miei confronti. Fuori, l’appello che mi rivolgono tutti è: resisti, devi resistere, non ci tradire. Ma io vorrei tranquillizzare tutti: io non sto resistendo, sono preoccupato, ma sono sereno sulla mia posizione. Il problema è se questa sottovalutazione e questo isolamento diventano un fatto politico, se questo partito comincia a porsi le domande che si pongono le persone che lo votano. Per esempio sulla mozione Giachetti siamo sembrati un partito di matti.
Nel documento dei bersaniani si lancia l’allarme contro la deriva leaderstica: condivide? 
Questa fa il paio con quella sulla comunicazione. Nella storia dell’umanità, soprattutto nelle fasi rivoluzionarie, c’è sempre stato bisogno di un leader. In un paese in crisi di nervi c’è bisogno anche di un po’ di umanità, di figure di riferimento, di un gruppo dirigente un po’ coraggioso. Ecco, la diffidenza verso la leadership rivela che certi dirigenti non sono coraggiosi, hanno paura. Ma questo è il rischio peggiore per il Pd, di essere un partito conservatore: dire che non c’è bisogno di un leader è la risposta più sbagliata che si possa dare.
Il suo Politicamp a Reggio Emilia sarà un appuntamento pre-congressuale?
Non è un appuntamento di corrente, non lo è mai stato. E’ un momento collettivo un po’ più ampio, anche per discutere con persone diverse che poi decideranno cosa fare al congresso. Ci sarà Fabrizio Barca, ci sarà Renato Soru. Sarà un’occasione di dibattito con tutti quelli che hanno ancora bisogno di esercitare un pensiero critico, non verso Letta o Epifani anche perché ci interessa poco. E’ un appuntamento rivolto a tutti quelli che vogliono dare un cuore politico al Pd, anche in termini di sentimento. Sì, perché quello che è mancato in campagna elettorale – oltre all’efficacia di “tre o quattro cose memorabili” come dice Giovanna Cosenza – è stata la passione: non abbiamo fatto capire le cose per le quali ci battiamo, le questioni che ci stanno a cuore.
Come spiega l’involuzione del movimento di Grillo: paga la scelta di non avere offerto sponde al Pd?
Ha avuto un successo difficilmente replicabile, ma ha sbagliato a non incassarlo subito in parlamento. Con il voto al M5S gli elettori hanno voluto dare un segnale fortissimo contro la politica ma di fronte all’irresponsabilità assoluta lo hanno ritirato.
Si tratta di una crisi irreversibile?
No, però fondare un partito che prende il 25 per cento dopo due anni è un po’ come fare canestro da 50 metri: non ci arrivi solo con il metodo. Voglio dire, le cose capitano in un certo momento, la fortuna conta. Oggi Grillo con i suoi deputati sta esagerando, sta svelando un lato tutto impolitico: oggi i deputati Cinquestelle vivono in una situazione difficilissima, qualsiasi cosa dicano è sbagliata, devono attaccare tutto e tutti ma loro sanno che non siamo tutti uguali. Alle amministrative gli elettori non hanno votato nessuna stella, c’è il buio, non vanno a votare più nemmeno Grillo.
In campagna elettorale Renzi si è speso molto. Secondo lei vuole fare il segretario? 
Io sono convinto che abbia fatto benissimo a promuovere i candidati del Pd, la politica si fa così, si prende e si dà. Tra l’altro vorrei sapere chi avremmo mandato in giro al posto di Renzi. Io sarei contento che si candidasse, un dibattito tra figure autonome serve. Ma secondo me Matteo non vuole fare il segretario anche se si sta chiedendo cosa succede perché il rischio diandare lunghi esiste, sia che il governo Letta duri sia che in parlamento si muova qualcosa. Ora in parlamento vedo un grande movimento, anche nel Pdl. Matteo vuole capire come interpretare il passaggio d’epoca, anche perché si è accorto che un rapporto col partito gli serve, a conferma che quando glielo dicevamo un po’ di ragioni le avevamo.
Quello è il motivo per cui avete rotto?
Secondo me alla fine sì, oltre naturalmente alla difficoltà di gestire le opinioni proprie e di gruppo. Ma la vera questione politica tra noi è che io volevo incalzare il Pd da dentro, anche per farlo crescere, mentre lui al partito non era interessato. Ora lo è un po’ di più.
Lei è considerato l’eterno indeciso, il candidato a tutto ma che alla fine si è sempre tirato indietro. Sarà così anche stavolta?
L’appuntamento mio è questo, poi magari gli elettori diranno di no ma io non sono tagliato né per fare il sindaco della mia città né per fare il governatore della mia regione. Io mi candido a fare il segretario del Pd.

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