martedì 25 giugno 2013

Obama in Sudafrica. L’omaggio al suo “maestro” Mandela


Obama in Sudafrica. L'omaggio al suo "maestro" Mandela

 

Il presidente statunitense arriva venerdì. Riuscirà a vedere Nelson Mandela? E' l'uomo che gli ha indicato la strada politica ma del quale però non si sente l'erede
Riuscirà almeno a vederlo, Madiba? Barack Obama, con Michelle e le due figlie, è atteso in Sudafrica venerdì, dove rimarrà fino a domenica. E chissà se Nelson Mandela sarà allora ancora in vita. Visita preparata da tempo, quella del presidente americano, preceduta da una tappa in Senegal e seguita da una sosta in Tanzania. Una settimana lontano da casa che suscita curiosità, essendo Obama figlio dell’Africa, ma solleva anche parecchio clamore, per i suoi alti costi, in un’America ossessionata dai tagli alle spese: cento milioni dollari.
La concomitanza dell’addio al mondo di Nelson Mandela e dell’arrivo nel suo paese del primo presidente nero americano ha dell’incredibile e sembra fatta apposta per confermare l’immagine di una staffetta ideale tra l’eroe della lotta all’apartheid, una delle icone del Novecento, con Gandhi e Martin Luther King, e l’uomo-simbolo del nuovo caleidoscopio demografico e razziale che caratterizza non solo l’America di questo secondo millennio, ma l’intero sistema-mondo.
Strano, ma i due si sono incontrati personalmente una sola volta, e per pochi minuti. Avvenne nel maggio 2005, quando Barack Obama era ancora un senatore fresco di nomina, con ambizioni presidenziali confessate giusto a Michelle e a pochi intimi, e Nelson Mandela era ormai ex-presidente da diversi anni. Fu il leader sudafricano, che si trovava a Washington, a chiedere d’incontrarlo. Il colloquio si tenne nella stanza che Mandela occupava all’hotel Four Seasons. Ricevette il futuro presidente seduto su una poltrona, le gambe distese in alto, il fido bastone di canna poggiato al fianco. Obama si chinò per stringere con delicatezza la mano dell’uomo che aveva trasformato il Sudafrica e che, con la sua lotta, aveva rivoluzionato la lotta politica, con la sua capacità di coniugare intransigenza e forza con spirito di riconciliazione. C’è una foto di quell’incontro, fu scattata da David Katz, un collaboratore di Obama, ma non fu resa pubblica.
Obama deve molto a Mandela. Deve a lui se è in politica. Il suo primo discorso politico, pronunciato all’Occidental College di Los Angeles nel 1981 fu chiaramente ispirato da Mandela e dal movimento antisegregazionista impegnato nella campagna di isolamento del Sudafrica, con il boicottaggio e il disinvestimento dei capitali stranieri. Lo racconta Obama stesso in “Sogni di mio padre”. Di Mandela, il futuro presidente americano apprezza soprattutto l’invincibile perseveranza. È colpito dal modo in cui, in lui, la giusta miscela di pazienza e di capacità organizzativa possano produrre un cambiamento radicale e non violento. L’esempio di Mandela «contribuì ad aprire gli occhi verso un mondo più grande, e l’obbligo che tutti noi abbiamo di ergerci per cià che è giusto», scriverà Obama nella prefazione alle memorie di Mandela, “Conversazioni con me stesso”.
Dopo il breve colloquio al Four Seasons, i due premi Nobel per la pace non si sono più incontrati. Certo, Mandela si congratulò con Obama quando fu eletto nel 2008 e quella fu la telefonata più gradita dopo la storica elezione. Poi si sa di un’altra conversazione telefonica, questa volta in seguito a un tragico evento, nel 2010, quando il presidente statunitense chiamò Madiba per porgergli le sue condoglianze per la morte della pronipote rimasta uccisa in un incidente stradale mentre rientrava a casa dal concerto di apertura della coppa del mondo.
Così, ora, l’immagine di un passaggio del testimone tra i due, al capezzale di Mandela è molto “narrativa”. Eppure è forse più suggestione che realtà. È Obama stesso a lasciare cadere una simile idea, forse per un comprensibile senso di pudore e di umiltà nei confronti di un personaggio che egli considera un gigante unico. «Non ho mai sentito il presidente Obama paragonarsi in alcun modo con il presidente Mandela”, ha detto a Margaret Talev e Julianna Goldman di Bloomberg Valerie Jarrett, consigliera di vecchia data di Obama. «Sente che qualsiasi sfida si trovi di fronte semplicemente impallidisce al confronto con quanto ha dovuto sostenere Mandela».
Certo, riconciliazione, spirito bipartisan, multilateraalismo sono nelle corde del presidente democratico così come caratterizzarono la politica di uscita dall’apartheid e di dialogo con il mondo da parte di Mandela. In questo senso c’è tra i due una linea di continuità, dice a Bloomberg Jennifer Cooke, che dirige l’Africa Program al Center for Strategic and International Studies di Washington.
Al tempo stesso, tuttavia, non può esserci analogia tra il naturale terzomondismo di Mandela e le coordinate del capo della superpotenza americana, per quanto innovativo possa essere. Mandela criticò con la massima durezza la guerra di Bush in Iraq (in questo può ritrovarsi Obama) ma anche la politica clintoniana nei confronti di Cuba, Libia e Iran. Oggi, l’impiego dei droni e il massiccio ricorso allo spionaggio delle utenze private e della posta elettronica, che sono alla base delle politiche anti-terrorismo di questa amministrazione, sarebbero per Mandela – sostiene ancora Jennifer Cooke – «un anatema agli ideali di una politica estera basata sui principi».
Nel corso della tre-giorni sudricana, Obama visiterà anche Robben Island, dove Mandela trascorse 18 dei suoi 27 anni in galera. Poi l’omaggio a Mandela morente, solo se la famiglia lo consentirà.

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