martedì 25 giugno 2013

Occupatelo così il Pd

Nelle battute iniziali de I Persiani di Eschilo, la regina Atossa si rivolge ai dignitari di corte in seguito ad un triste presagio sulla battaglia di Salamina in cui Serse, suo figlio, guidava la flotta persiana alla conquista del Mar Egeo.

Per chi ha trascorso l'adolescenza a tradurre versioni dal greco all'italiano, sa quanto fosse frequente nella tradizione classica il ricorso al consiglio dei "vecchi saggi" nelle situazioni di asperità. Così sono andato a ripescare l'Appello per il Partito Democratico pubblicato nell'aprile del 2003 in cui Michele Salvati, partendo dal celebre j'accuse di Nanni Moretti "Con questi leader non vinceremo mai", incoraggiava l'allora classe dirigente del centrosinistra ad operare un atto di coraggio attraverso la costruzione di un'unica grande casa dei riformisti.

Non a caso, nel suo accorato appello, al saggio Salvati già nel 2003 non sfuggiva che le scommesse politiche di D'Alema e Marini mal si conciliavano con quella che sarebbe stata l'idea originaria del Pd e, a dieci anni di distanza, il suo caveat ha tutte le sembianze di un funesto presagio.

Il Partito democratico, quando è stato pensato negli anni 90 sotto le spoglie dell'Ulivo e la leadership di Romano Prodi, era figlio delle innovazioni del tempo: come l'euro avrebbe dovuto cambiare la politica economica del paese, ripensando la spesa pubblica e investendo, bene, in istruzione, innovazione e ricerca, così il Partito democratico avrebbe dovuto unire e trasformare le infrastrutture dei partiti di centrosinistra da teaching university a research university; luoghi in cui non il mero insegnamento dell'ideologia ma la comprensione delle profonde trasformazioni dell'epoca avrebbe plasmato una nuova classe dirigente, capace di concepire politiche pubbliche che avessero un senso, un'anima, un orizzonte progettuale.

Parlare di un partito che prediliga la ricerca all'insegnamento dogmatico, la pratica alla teoria priva di implicazioni, le politiche pubbliche ai retroscena, vuol dire coniugare tradizione e innovazione, ossia due pilastri della storia politica riformista italiana.

Oltre un secolo fa, Gaetano Salvemini si produsse in un lavoro di ricerca affascinante nel suo paese di provenienza, Molfetta, con l'intento dichiarato di definire una "veduta dell'insieme" dei suoi compaesani, ricercando nel "sostrato delle batracomiomachie cittadine" quel complesso di relazioni, valori, stili di vita che andassero oltre le tradizionali categorie socio-demografiche: un lascito prezioso e pioneristico che farebbe impallidire gli esperti del team elettorale di Obama, i quali, tramite i big data, hanno provato a comprendere proprio la trasversalità di categorie sociali e valori di riferimento dei singoli elettori.

Di più, nelle elezioni amministrative bolognesi del 1956, Giuseppe Dossetti affidò il compito della stesura del "Libro bianco" ad un gruppo di giovani illuminati, tra cui Achille Ardigò e Beniamino Andreatta, affinché affrontassero questioni complesse come il bilancio e l'urbanistica, i servizi sociali e lo sviluppo dei quartieri, l'assistenza e l'educazione dei giovani, coniugando la loro passione civile a un approccio scientifico e rigoroso nella formulazione di politiche pubbliche.

La squadra di giovani, avvalendosi di intense campagne di ascolto e di una scrupolosa attività di ricerca sulle prospettive socio-economiche della città, prese spunto dalla tradizione economica e sociologica anglosassone - Andreatta, ad esempio, sarebbe diventato, tra le altre cose, consulente del Mit presso il governo indiano nei primi anni settanta - per riadattare al contesto locale una serie di politiche pubbliche.

Se c'è una cosa che le nuove generazioni del Pd animate dalla voglia di trasformazione del paese possono fare, è "occupare" il Partito democratico con le loro conoscenze, così come hanno fatto negli anni passati le menti migliori del riformismo italiano. Perché se le elezioni sono più o meno imminenti e l'obiettivo è riconquistare la maggioranza del paese, lo strumento è una sintesi di conoscenza e ricerca, l'unico modo per generare innovazione e sviluppo nel paese.

I Repubblicani statunitensi, negli anni Duemila, hanno applicato alla perfezione la lezione di Gramsci sull'egemonia culturale, investendo in ricerca accademica e proponendo un lessico nuovo sui valori di riferimento del Paese - come ha spiegato George Lakoff nel suo Don't Think of an Elephant!; i Democratici, nel 2008, hanno posto fine a questa egemonia non solo grazie alla leadership visionaria di Barack Obama ma anche attraverso il suo team di esperti di tecnologia e comunicazione che hanno saputo comprendere prima di tutti i cambiamenti della società americana.

E allora, dato che gli strumenti e le conoscenze non mancano, cosa aspettano le nuove generazioni a metterli in pratica proponendo una versione futuribile dell'Italia?

Enrico Iaia

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