venerdì 28 giugno 2013

In autunno la resa dei conti

La Stampa 28/06/2013
 
 
marcello sorgi

Siglata tra Palazzo Chigi e il Quirinale dove il condannato Berlusconi era stato solennemente ricevuto all’indomani della pesante sentenza per il caso Ruby - e alla vigilia dell’udienza in Cassazione sul lodo Mondadori e della probabile incriminazione per la compravendita di senatori in epoca ultimo governo Prodi - è durata appena 24 ore la tregua che doveva consentire al governo di riprendere fiato e a Letta di presentarsi al vertice europeo senza tenere l’orecchio incollato al cellulare per ricevere cattive notizie dall’Italia.  
 
Il presidente del consiglio ha avuto appena il tempo di concentrarsi per qualche ora sui delicati dossier che sono al centro dell’incontro tra i leader, che subito la sua attenzione è stata richiamata in Italia dal nuovo scontro apertosi nella maggioranza sulla giustizia e sui provvedimenti per l’occupazione. Va detto che con la levata di scudi contro l’emendamento del Pdl, che punta a ridisegnare, in caso di riforme istituzionali, il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, il Pd ha voluto mettere le mani avanti e far sentire il crepitio di un fuoco di avvertimento. Se davvero - e sarà da vedersi, in questo clima - il Parlamento dovesse mettere mano ai poteri della Camera e del Senato, come si propone di fare, e se un lavoro del genere, anche senza cambiare del tutto l’aspetto costituzionale del nostro sistema, comportasse un rafforzamento della figura del premier o addirittura l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, non si capisce come da una ristrutturazione del genere potrebbe restare escluso l’organo di autogoverno dei giudici. Ma tant’è: i rapporti tra i due principali partiti della maggioranza sono improntati a un tale clima di sospetto che al minimo stormir di fronde si incrociano raffiche di polemiche.  
 
Non è stata da meno anche l’accoglienza che il Pdl, non tutto, ma a un certo livello, ha tributato ai provvedimenti usciti da Palazzo Chigi mercoledì. Il capogruppo dei deputati Brunetta ha sostenuto che la sospensione dell’aumento dell’Iva è stata adottata senza trasparenza sulle coperture (attacco al ministro dell’Economia Saccomanni), mentre la sua vice Gelmini spiegava che il decreto sul l’occupazione giovanile realizzava solo in parte una proposta lanciata durante la campagna elettorale dal centrodestra. Per evitare che il consiglio dei ministri preparato con tanta cura, e tenuto alla vigilia del vertice di Bruxelles anche per dimostrare la capacità riformatrice del proprio governo, apparisse come una specie di gioco delle tre carte, Letta è dovuto intervenire personalmente dall’estero per difendere Saccomanni e reagire alle accuse di Brunetta. 

Ora, a parte i risultati che potrà conseguire con la sua missione europea (segnata, come sempre, da un avvio interlocutorio e da un veto del primo ministro inglese Cameron che non fa ben sperare), ci si chiede quanto potrà andare avanti ancora il governo su una strada così accidentata. Il problema non è la durata (sulla quale, in mancanza di alternative, sia Berlusconi sia Epifani si sono impegnati fino all’altro ieri), ma la possibilità e la capacità di realizzare il programma su cui era nato l’accordo delle larghe intese. Un elenco ambizioso di riforme improcrastinabili, dall’economia alle istituzioni, non prive di conseguenze sociali, che solo un accordo tra (ex?) avversari poteva consentire di varare, suddividendone i costi politici e preparandosi a incassarne i dividendi al momento dell’uscita dell’Italia dalla crisi. Invece, finora, s’è preferito procedere di rinvio in rinvio, dall’Imu all’Iva alla Grande Riforma, spostando all’autunno il momento della vera resa dei conti e dell’eventuale, in caso di rottura, ritorno alle urne. 

Pressati in questa gimcana dai rispettivi partiti - uno, il Pd, in corsa verso il congresso, l’altro, il Pdl, precipitato verso una rifondazione del marchio e dello spirito «rivoluzionario» di Forza Italia - Letta e Alfano hanno dimostrato fin qui una personale e straordinaria abilità a districarsi tra i veti incrociati e a tenere in piedi un esecutivo, nato traballante, e alle prese con un’opposizione trasversale e strisciante che attraversa tutta la larga maggioranza di cui dispone. Ma alla vigilia della lunga estate in cui una volta e per tutte si giocherà la sopravvivenza, forse è lecito chiedersi se un governo come questo può accontentarsi di tirare a campare. E soprattutto di campare così.

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