giovedì 20 giugno 2013

La sentenza Mediaset scivola sul Pd delle larghe intese: Scontata. Braccio di ferro sul congresso.


“La Corte Costituzionale respinge il ricorso di Silvio Berlusconi Mediaset… Sentenza scontata. Passiamo avanti…”. La decisione della Consulta sul leader del Pdl piomba al Nazareno mentre è in corso la riunione della segreteria con Guglielmo Epifani. “Scontata”, derubricano un po’ tutti i partecipanti, dal bersaniano Davide Zoggia al renziano Luca Lotti, per citarne due a caso. Scontata, anche perché lo hanno capito nel Pd che questo governo non ha da temere dal Pdl, a maggior ragione se il Cavaliere continua a prenderle dai giudici, come è successo anche in questo caso. Dunque, nulla quaestio. Il partito rimane assorto nella discussione congressuale: è ormai iniziato il braccio di ferro sulle regole che presto potrebbe determinare decisioni finali da parte dei contendenti, a cominciare da Matteo Renzi.

Sul caso Berlusconi, questo inedito e scomodo alleato di governo, parla Epifani. “E' una sentenza che era attesa da tempo. Dà ragione a una parte e torto all'altra, non vedo un rapporto tra questa sentenza e il quadro politico. Non credo avrà effetti sul governo”. Giuseppe Fioroni nota che “il Cavaliere incassa un’altra volta, ma questo non crea problemi all’esecutivo, come ci si aspettava”, perché, proprio perché in difficoltà dal punto di vista giudiziario, Berlusconi non può essere interessato a staccare la spina al governo (su Mediaset la sentenza definitiva arriverà a ottobre, la prossima settimana è prevista la sentenza di primo grado sul processo Ruby). Il senatore renziano Andrea Marcucci ne approfitta per sottolineare le differenze in chiave interna: “Abbiamo dato la fiducia al governo su un programma concreto di cose da fare per il Paese su quello il Parlamento giudicherà, non certo sui problemi giudiziari del leader del Pdl. Ipotesi, che pure sono state ventilate, di nuove maggioranze di governi del cambiamento sono fuori dalla realtà". E’ una frecciata all’ex segretario Pier Luigi Bersani, per dire di quanto il dibattito interno prevalga sulle larghe intese, che dureranno: così si aspettano nel Pd, i favorevoli, i critici e i contrari a questo governo.

Del resto, proprio Bersani è salito apposta al Colle in giornata per chiarirsi con Giorgio Napolitano (all'indomani dell'incontro del capo dello Stato con Renzi sempre al Quirinale). Sul tavolo: l’intervista di sabato scorso al Corriere, quella sul governo di cambiamento di cui ora parla Marcucci. Un intervento che non è piaciuto al capo dello Stato, il quale ci ha voluto vedere chiaro. Il colloquio è servito a sgombrare il campo dai dubbi, Bersani ha chiarito che l’uscita sul Corsera gli serviva in chiave interna, congressuale appunto. Perché è qui che si concentrano croci e delizie del Pd in questa fase. Il braccio di ferro sulle regole è ormai un “nodo politico, non c’entra con la commissione per il congresso”, ci dice Lotti, riassumendo il suo intervento in segreteria. I renziani non si fidano. Aspettano, sospettosi di ogni mossa. Anche Massimo D’Alema, che ormai ha offerto a Renzi tutta la collaborazione possibile per portarlo al piano più alto del Nazareno, è partner ben accetto e rispettato, ma guardato al tempo stesso con circospezione dal quartier generale fiorentino.

Non a caso, ospite ad Agorà, il sindaco ha raffreddato i motori della sua corsa per la segreteria. “E’ l’ultima delle mie preoccupazioni. Non mi annoio a fare il sindaco. Vado via da Firenze o se mi cacciano i fiorentini o se c'è la possibilità di guidare il Paese”. Non è una marcia indietro rispetto al congresso. E’ piuttosto l’inizio di un affondo per vedere davvero queste carte del Pd, come andrà a finire sulle regole. “Lo statuto andrà modificato, sennò perché avremmo fatto la commissione per il congresso?”, insiste in Transatlantico il responsabile Organizzazione Zoggia, segnalando che l’idea dei bersaniani resta la stessa: separare il ruolo del segretario dal candidato premier o almeno cancellare l’automatismo attualmente previsto dallo statuto. Da sottolineare che anche per una soluzione morbida alla D’Alema (il segretario può candidarsi a premier ma anche no) c’è da modificare lo statuto e i renziani invece si sentirebbero più sicuri a mantenere lo status quo: il segretario è anche il candidato premier. “Bene: se insistono chiediamo anche a Letta di candidarsi alla segreteria del Pd, per non fare disparità di trattamento”, è la provocazione di Fioroni, unico tra gli ex Popolari a mantenere un asse con i bersaniani (i franceschiniani si sono avvicinati a Renzi). Ma tra gli avversari renziani le parole di Fioroni vengono viste più come un modo per stanare Letta: anche lui dieci giorni fa ha teso la mano al sindaco, per limitare i suoi affondi contro il governo.

Angela Mauro
La Repubblica - 19/06/2013

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