domenica 23 giugno 2013

Fenomeni: Trombati, a volte ritornano

di Susanna Turco
Di Pietro che vuole presentarsi alle prossime europee. Casini che divorzia da Monti per far rinascere l'Udc. Ingroia che lancia il suo minipartito. E' il week end di quelli che tentano di restare a galla a ogni costo
(L'Espresso 21 giugno 2013)
Li riconosci subito perché hanno facce stranote. E una macchina da cucire instancabile: tornano, infatti, tornano sempre. Sono pronti a ripartire anche adesso, col caldo che fa. Macchine in piena attività, perché restar fuori dal gioco proprio non si può.

Si prenda Antonio di Pietro, per esempio. Dopo la batosta elettorale che l'ha lasciato fuori dal Parlamento, e un congruo periodo di riposo, è pronto al rilancio. «Tornerò in politica e saranno cazzi sua» ha tuonato ai microfoni di "Un giorno da pecora". Oltre a riprendere l'abitudine di attaccare il «governo dell'inciucio» (prima era Monti, adesso Letta), oltre a cavalcare il lamento del c'ero prima io («la questione dell'ineleggibilità l'abbiamo sollevata noi, ma nessuno lo dice»), il leader dell'Italia dei Valori annuncia già: «Alle prossime europee ci presenteremo col nostro simbolo. Io mi ricandiderò sicuramente».

D'altra parte, Di Pietro uno sforzo per il ricambio generazionale già l'ha fatto: la prossimo "Congresso straordinario" dell'Idv, previsto vicino a piazza di Spagna a Roma per il 28-30 giugno, a più di tre anni dal precedente dominato dal scintillante duello con De Magistris (che oggi non è più nell'Idv), il gran capo non si presenterà come candidato leader. Se la battono invece, per la guida, nomi illustri: Antonio Borghesi, Matteo Castellarin, Ignazio Messina, Niccolò Rinaldi, Nicola Scalera.

Naturalmente, con le percentuali dei sondaggi in caduta libera che danno il partito tra l'1 e il 2 per cento, anche del congresso nessuno ne parla. Così come si parla poco di tutta una questione di tesseramenti gonfiati per porre rimedio ai quali la procedura di votazione sarà complicatissima. Ma Di Pietro sta a osservare il crollo grillino, e assicura che tornerà.

E' già tornato, a modo suo, uno dei suoi ex principali sodali: Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo la settimana scorsa ha riunito il suo neonato "Movimento 139" (dagli articoli della Costituzione) nella sala di un ex cinema-teatro, il romano Capranichetta: ex Idv come Felice Belisario, ex Sel, ex Scelta civica e un centinaio di amministratori locali. Obiettivo per nulla ambizioso: rifondare un partito democratico «senza recinti e senza tessere» (questa la sfida lanciata al Pd-Pd), per costruire «una alternativa al governo dell'inciucio».

E Antonio Ingroia, poteva mancare? Figuriamoci. Oltre a puntualizzare via twitter di essere un «ex» magistrato e a giurare che il suo addio alla toga è definitivo (medita addirittura di iscriversi all'Ordine degli avvocati), il capo di Azione civile rilancia il suo movimento proprio in questo fine settimana, con la prima assemblea nazionale: annunciata la partecipazione sua, e quella di «numerosi ospiti di altre forze politiche, sindacali, delll'associazionismo e dei movimenti». L'obiettivo è costruire un'alternativa, naturalmente. Ingroia assicura «passione ed entusiasmo».

Il faro della Rifondazione comunista di Paolo Ferrero è invece la Fiom: l'adesione all'appuntamento dei metalmeccanici il 28 giugno a Roma campeggia infatti sul sito del partito. «Proponiamo la costruzione di un polo alla sinistra del centrosinistra, una sinistra unita, non subalterna al programma del Pd. Il popolo che era in piazza con la Fiom e Rodotà, Landini e Gino strada sono per noi interlocutori», conferma il segretario di Rc intervistato da "Intelligonews".

Si badi, però: anche al centro qualcosa si muove. E non sono solo gli stracci che stanno volando tra gli uddiccini di Casini , i civici di Monti e i montezemoliani, utili giusto a segnalare che al divorzio manca solo il timbro ufficiale. Succede in particolare che, mentre il progetto montiano si squaglia, l'Udc prova a ripartire per conto suo, nonostante la batosta elettorale. Dopo aver scoperto (curioso senno del poi) che, a quanto pare, i calcoli erano stati tutti sbagliati: senza Monti, dicono oggi i centristi, alle elezioni avrebbero preso molti più voti, adddirittura il 4,8 per cento dicono.

In ogni caso, prova immediata del fermento è che persino uno dei pochi centristi entrati in parlamento,

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