sabato 15 giugno 2013

Il governo e i sondaggi di Pdl e Pd

 

Il Pdl fa la voce grossa ma non può mordere: la sua crisi ha origini antiche. Il Pd va meglio ma sarà "pericoloso" per palazzo Chigi solo quando avrà deciso sulla leadership.
Il Pdl fa la voce grossa. I suoi giornali di riferimento ancora più grossa, trattando già il governo Letta come un sottoprodotto del governo Monti.
È ammuina, quasi solo ammuina. Per quanto possa essere deludente la posizione di Saccomanni e Zanonato sull’Imu che non può essere abolita e sull’Iva che non può non aumentare (probabilmente però sarà congelata), non saranno questi importantissimi temi a creare autentica e pericolosa instabilità per palazzo Chigi.
Non direttamente, almeno.
La minaccia può provenire dall’emulazione fra partiti, la prospettiva contro la quale si esprimeva due giorni fa Napolitano: la possibilità cioè che, entrambi convinti di aver perduto le elezioni di febbraio per colpa dell’appoggio a Monti, Pdl e Pd comincino a rivaleggiare nel prendere le distanze da Letta. O quanto meno nell’alzare la voce contro i suoi ministri: pratica inoffensiva nel bla-bla quotidiano, ma alla lunga sfiancante.
Il calcolo elettorale: alla fine, nonostante tutte le solenni affermazioni, solo quello conta, soprattutto in una legislatura che chiunque può considerare provvisoria.
Qui subentra una asimmetria fra Pdl e Pd. Perché i sondaggi unanimemente cominciano a certificare l’affanno dei berlusconiani e la tonicità dei democratici. Bisognerebbe ricavarne che l’elettorato Pdl soffre l’alleanza col Pd mentre non accade l’inverso? Improbabile.
La questione vera è più profonda, ben antecedente alle larghe intese. Lo sa bene Berlusconi, che infatti in cuor suo non pensa proprio a recuperare voti a scapito del governo dove ha insediato Alfano.
La crisi di consenso del Pdl s’è aperta tre anni fa e non s’è mai risolta, al massimo Berlusconi è riuscito a rallentarla tra gennaio e febbraio (perdendo comunque oltre sei milioni di voti). E una certa fiducia nel Pd riaffiora (guarda caso, a scapito di M5S), ora come nel dicembre scorso, quando invece che il Pd reale tiene il campo sui media il Pd virtuale guidato dai Renzi (sopra tutti), dai Letta, dai Civati, dalle Serracchiani, dai Barca, dai Cuperlo, essendo ognuno di loro, a vario ed eterogeneo titolo, una promessa di novità e discontinuità competiva con Grillo e ben più affidabile di lui.
L’impressione è che finché una di queste promesse Pd non si sarà concretizzata in leadership reale, invece che virtuale, il quadro politico, il governo e la legislatura non avranno nulla di serio da temere.

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