giovedì 27 giugno 2013

Perché le primarie non cambieranno

Mario Lavia
 

Saranno aperte come nelle precedenti occasioni, oltre tutto non ci sono nemmeno i numeri per cambiare le regole né in direzione né in assemblea nazionale. E Renzi è lì
Nei giorni scorsi, uno dopo l’altro – con la vistosa eccezione di Bersani – tutti i big del Pd si sono pronunciati per le primarie aperte. Aperte a tutti quei cittadini (meglio se anche ai sedicenni) che con maggiore o minore intensità ritengono che il Pd sia il partito cui puntare e il cui leader possa competere per la guida del governo. Né più né meno di quello che abbiamo vissuto nel 2007 e nel 2009, le due precedenti primarie per la leadership del Pd.
La commissione per le regole alla fine deciderà per la strada più ragionevole. Niente “albi”, niente obbligo di iscriversi al partito, niente registrazioni.
Guglielmo Epifani ha tenuto sinora una posizione di mediazione, attento alle ragioni di Bersani, ma è probabile che stia vivendo questa discussione con un crescente disagio, e c’è da capirlo. Si rende conto che non ci sono nemmeno i numeri (in direzione o in assemblea nazionale) per cambiare statuto e regole. E anche da Bersani a questo punto ci si aspetta più una battaglia sui contenuti che non sulle procedure, perché anche solo dare l’impressione di arzigogolare per complicare la vita di Matteo Renzi non rende un buon servizio a lui per primo.
Ci vorranno dunque più candidati, più documenti, un congresso non spezzato fra fase centrale e fase locale per dare l’idea di un grande appuntamento nazionale.
Al massimo si potrà “ammorbidire” l’automatismo fra leader e candidato premier. Ma sarebbe (sarà) una modifica che non muterebbe la sostanza: il numero uno del Pd correrà per palazzo Chigi.
Renzi vuole vedere il tutto nero su bianco, giustamente, ma se le cose stanno così non dovrebbe più avere remore nel decidere di scendere in campo. Forse un po’ frettolosamente, Scalfari ha scritto che scioglierà la riserva il primo luglio: magari sarà più verso la fine del mese ma, anche qui, la sostanza non cambia.
Il suo dubbio sulla possibilità reale di conquistare le “truppe” deve tenere conto che il corpo del partito si sta abituando all’idea della sua leadership.  E che le correnti interne a lui ostili perdono terreno e personalità, e infatti il clima interno è meno nevrotico. La strada ormai è aperta.

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