LUISA GRION ROBERTO MANIA
La Repubblica – 24/9/14
Il retroscena: Le principali voci del
dissenso sono arrivate dai settori più esposti alla crisi economica.
Il Nord, le categorie dell’industria, i pensionati
La Cisl ha mollato Bonanni. Può essere
paradossale in un’organizzazione governata per anni con pugno di
ferro dal sindacalista abruzzese di Bomba, ma è successo. «Il mio
tempo è finito», ha detto ieri il segretario uscente ai microfoni
del Tg1. Ma che il suo tempo fosse finito glielo avevano detto, dopo
anni di totale unanimismo, proprio i suoi. Nell’ultima riunione
dell’Esecutivo nazionale, nelle riunioni territoriali, qua e là
con tante contorsioni in sindacalese anche in qualche documento
serpeggiava il dissenso. Bonanni, classe 1949, ne ha preso atto. E ha
deciso di accelerare il ricambio, di passare il testimone nelle
prossime settimane alla genovese, cinquantaseienne, Annamaria Furlan,
prima donna candidata a guidare il sindacato d’ispirazione
cattolica, il secondo per numero di iscritti dopo la Cgil. Tutto
così, se non ci saranno incidenti di percorso. Perché ora nella
Cisl non c’è più niente di scontato. Anche Bonanni sarebbe dovuto
andarsene tra sei mesi, e invece ha lasciato prima.
È dall’inizio dell’anno che il
malumore ha cominciato ad emergere nel sindacato di Via Po. E non v’è
dubbio che pure l’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi abbia
contribuito alla perdita di leadership del segretario generale.
Bonanni si è ritrovato più debole senza più l’arma della
concertazione. Ha cercato in tutti i modi di “conquistare” un
tavolo di confronto con il nuovo governo, ma è stato respinto con
perdite. È stato costretto a giocare di rimessa: da una parte con
l’esecutivo di Renzi, dall’altra con la Cgil di Susanna Camusso,
se non addirittura la Fiom di Maurizio Landini impegnati in una
partita politico- sindacale dalle diverse sfaccettature, comunque in
grado ancora di mobilitarsi. L’immobilismo della Cisl bonanniana ha
invece rimesso in discussione la sua linea. L’irrilevanza sulla
scena politica è diventata incompatibile con una leadership che
sempre ha scommesso su rapporti privilegiati con i governi, in
particolare con quelli del centro-destra. E non è un caso che le
prime voci del dissenso siano nate nelle aree più esposte nella
crisi: le regioni del Nord, le categorie dell’industria, i
pensionati. E la Sicilia. Il nocciolo duro dei bonanniani è rimasto
quello costituito dalle categoria del pubblico impiego, area un tempo
di tradizionale forte insediamento cislino ma nella quale oggi
prevale la Cgil, sia negli iscritti sia nei voti per le Rsu.
Da oggi, dopo la formalizzazione da
parte di Bonanni della sua decisione, bisognerà seguire le mosse di
Gigi Bonfanti, segretario dei pensionati, medico, sindacalista di
lungo corso. Da lui sono arrivare anche le poche critiche alla linea
Bonanni. Si muove con il pacchetto pesante di voti dei pensionati. E
si dovrà seguire pure Gigi Petteni, segretario della Lombardia (780
mila iscritti) capace di coalizzare il malessere delle categorie
dell’industria che con il processo di riorganizzazione voluto
proprio da Bonanni sono destinate inevitabilmente a contare di più
rispetto al centro burocratico di Roma. Da questi movimenti potrebbe
emergere l’alternativa alla Furlan, soprattutto tra i quarantenni
che scalpitano e ora vedono un’opportunità da poter sfruttare.
Che la stagione di Bonanni volgesse al
termine si è capito nelle ultime settimane quando hanno ricominciato
a girare nei corridoi vecchi veleni, dossier e lettere anonime. Al
leader si sono fatti i conti in tasca. Sono sembrati troppi i 4.800
euro netti di pensione (circa 7 mila lordi) maturati nel retributivo
poco prima che entrasse in vigore la riforma Fornero. Le accuse di
essersi aumentato lo stipendio per aumentare l’importo dell’assegno
sono state respinte facendo notare che gli anni di contributi sono
47. Ma quando i corvi volano lasciano il segno.
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