Corriere della Sera 10/09/14
Roberto Zuccolini
In tre giorni tutto il mondo. Con i
suoi drammi, ma anche le sue speranze. Dall’Iraq alla Nigeria. È
possibile fermare le guerre? Qui ad Anversa, migliaia di giovani
europei, insieme a 350 rappresentanti delle religioni e della
cultura, ci credono. Accogliendo l’invito della Comunità di
Sant’Egidio ieri sera, alla fine di un’intensa tre giorni
interreligiosa, hanno risposto ai crescenti conflitti con un solenne
appello di pace nella piazza centrale della città, la Grote Markt. E
se c’è chi si dice in guerra nel nome di una religione, «occorre
essere responsabili», scendere in campo come autorità cristiane,
musulmane, ebree o di altre confessioni, fare di tutto per fermarla.
Lo aveva chiesto anche il Papa nel suo messaggio all’inizio
dell’incontro «La pace è il futuro». Non sarà «l’Onu delle
religioni» in senso stretto, così come ne ha parlato l’ex
presidente di Israele Shimon Peres, perché non si può creare una
nuova, ennesima, struttura. Ma gli esponenti delle diverse religioni
presenti hanno già inventato una rete di intervento, anche concreto,
e promettono di restare in contatto per rispondere alle crisi, anche
quelle più gravi.
Nella tavola rotonda sulla crisi nigeriana,
uno dei 25 panel organizzati, c’erano persone che potevano
considerarsi in guerra: cristiani come l’arcivescovo di Jos, città
più volte scenario di conflitti violenti, o come il pastore
protestante Wuye, di fronte all’imam Ashafa e all’emiro,
musulmano, di Wase. Ma tutti hanno dato ragione allo storico
Marc-Antoine Pérouse de Montclos, esperto di Boko Haram, quando ha
spiegato che le vittime del temibile gruppo islamista «sono per due
terzi» musulmane. E che se fanno attentati contro i cristiani, non è
tanto per la «guerra santa» ma per «la visibilità che offrono
questi atti in Occidente». Non solo. Nel corso di un dibattito
appassionato si è anche detto che, di fronte al crescendo inaudito
di questo tipo di terrore, occorre provare qualcosa che sia diversa
dalla semplice risposta militare. Provarci almeno.
Il cardinale
di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, ha preso la parola per invocare
una «mediazione» che può sembrare impossibile, ma che secondo la
massima autorità della Chiesa cattolica in Nigeria «è una via da
praticare». Prima di tutto perché l’arma della repressione
«finora non ha funzionato», anzi ha prodotto un’escalation della
violenza. E poi perché al cardinale appare possibile coinvolgere un
vasto fronte di musulmani favorevoli alla pace: «Negli attentati non
muoiono solo i cristiani, anche l’Islam è colpito pesantemente. Le
ragazze rapite non sono solo cristiane». E ancora: «Sono tanti gli
imam che si dissociano dalla lotta armata, ma occorre che siano
protetti. C’è bisogno di avviare un negoziato per arrestare questa
tragedia. Anche perché Boko Haram, conquistando interi territori del
Paese, comincia a governare e a riscuotere consenso, non solo con il
terrore ma anche con il calo della corruzione». Una delle grandi
piaghe della Nigeria, il più popoloso Stato africano.
Di altre
crisi, come quella dell’Iraq, si è parlato qui ad Anversa. E a
denunciare con forza ogni guerra in nome della religione sono stati
autorevoli esponenti del mondo musulmano. Di Paesi diversi tra loro.
Il Gran Mufti dell’Egitto, Abdel Karim Allam, ha parlato della
colpevole «lontananza e impreparazione» dei seguaci del Califfato
rispetto alla «vera dottrina dell’Islam». E l’iraniano Sayyed
Mohammad ha spiegato che il radicalismo di certi gruppi «è frutto
di un’alleanza tra i tiranni e la parte più ignorante della
popolazione». «La globalizzazione non addice alla semplificazione»,
ha avvertito alla fine Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità
di Sant’Egidio, che ha organizzato l’incontro insieme al vescovo
di Anversa. In altre parole «non è jihad contro crociata, il mondo
è più complesso e articolato». Nell’appello finale, letto nella
grande piazza, c’è scritto: «La pace è una cosa troppo seria per
lasciarla solo ad alcuni». Cioè solo alla politica, alle
istituzioni. E che oggi «troppo pochi sognano la pace». Qui ad
Anversa, invece erano molti in questi giorni a volerla realizzare.
Tanto che si sono già dati appuntamento per un nuovo incontro
internazionale. Tra un anno a Tirana, in Albania.
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