Corriere della Sera 29/09/14
Maurizio Ferrera
Sul Jobs act è giunto il tempo della
decisione. Oggi si riunisce la segreteria del Pd e questa sera
sarebbe auspicabile avere un segnale chiaro di approvazione. C’è
una minoranza che non è d’accordo. Per alcuni l’intangibilità
dell’articolo 18 è una questione di principio. Per altri (più
numerosi) sembra invece essere una questione di specifici contenuti.
I margini per non rompere ci sono: Renzi ha già ceduto sui
licenziamenti discriminatori, per i quali rimarrà il reintegro.
L’altro punto su cui cercare convergenze riguarda le nuove tutele.
A quanto ammonterà l’indennizzo in caso di motivazioni economiche?
E verranno davvero rafforzati gli ammortizzatori sociali? Il governo
è in grave ritardo su questo fronte. Renzi deve chiarire quante
risorse saranno disponibili nella legge di stabilità. La soluzione è
usare già dal 2015 i fondi della la Cassa integrazione in deroga per
finanziare una indennità semiuniversale che colmi i buchi di
copertura esistenti, soprattutto per interinali e contratti a
termine. Non è una partita di giro, ma passaggio da un sistema
aleatorio e discrezionale a una tutela finalmente «europea», basata
su diritti soggettivi.
Il presidente del Consiglio deve
insistere su questi aspetti. Il nuovo «contratto a tutele crescenti»
è oggi uno strumento per offrire stabilità d’impiego ai giovani
che non ce l’hanno; la maggiore flessibilità in uscita si
accompagnerà a protezioni più robuste ed efficaci. Qualcuno dei
dissidenti farà ancora finta di non capire: pazienza. Con gli altri,
Renzi non cerchi «rese dei conti», ma dia rassicurazioni, spieghi
bene come e perché ci si può fidare del cambiamento. Il Jobs act
non può e non deve essere vissuto e additato come boccone amaro
imposto dalla Ue, ma come una opportunità per rendere il nostro
mercato del lavoro più equo e inclusivo.
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