L'accordo permette ad Abbas di rimettere formalmente piede a Gaza
dopo sei anni e ad Hamas di ridurre la pressione sul suo governo alle
prese con una difficile ricostruzione
IL CAIRO – Le facce sorridenti nella foto che ritrae la
stretta di mano al Cairo tra Mousa Abu Marzuq, vice di Hamas, e Azzam
al Ahmad di Fatah, erano tutt’altro che scontate. I due movimenti
palestinesi hanno annunciato di aver raggiunto un accordo che muove in
avanti le prospettive di un vero accordo di unità nazionale. Hamas,
infatti, avrebbe accettato che il governo di unità nazionale controllato
dal presidente Mahmoud Abbas prenda il controllo nella Striscia di
Gaza.
Finora, nonostante l’accordo di marzo sulla creazione di un governo
unitario e le dimissioni dei ministri di Hamas, il movimento islamico
aveva continuato a operare nella Striscia in quasi totale autonomia. Con
il nuovo patto, invece, Hamas invita l’Autorità palestinese e i suoi
funzionari ad assumersi le proprie responsabilità di governo con effetto
immediato. L’accordo, prevederebbe che gli agenti delle forze di
sicurezza fedeli al governo di Abbas prendano il controllo anche dei
confini della Striscia e in particolare del valico di Rafah al confine
con l’Egitto, così come stipulato anche nella tregua siglata a fine
agosto tra Israele e fazioni palestinesi.
Tuttavia, come detto, non era affatto scontato che Fatah e Hamas
riuscissero a raggiungere un accordo. Dalla fine della guerra con
Israele, infatti, le due fazioni palestinesi hanno combattuto una vera e
propria guerra fredda fatta di minacce, dichiarazioni e intimidazioni
che hanno rischiato di mettere a repentaglio tanto l’unità nazionale –
mai veramente compiuta – quanto le prospettive di una tenuta del cessate
al fuoco permanente.
Al centro della disputa la ricostruzione di Gaza e il pagamento dei
salari degli impiegati del governo di Hamas. Il movimento islamico,
infatti, aveva accettato di entrare nel governo di unità nazionale anche
per far fronte alla crisi finanziaria che lo aveva colpito, rendendolo
incapace di corrispondere gli stipendi da mesi. Durante i negoziati del
Cairo con Israele per un cessate il fuoco, Hamas pensava che, almeno su
questo punto, la situazione fosse risolta.
Finiti i bombardamenti, però, Abbas si era detto contrario a onorare
il patto, temendo per la propria popolarità in picchiata, per la tenuta
del suo stesso governo e che il suo rivale ne approfittasse per
mantenere saldo il proprio controllo su Gaza. Quando la scorsa settimana
sono fuoriuscite informazioni su un incontro privato tra il presidente
palestinese e 30 imprenditori di Gaza in cui Abbas avrebbe fatto capire
di non essere interessato né a facilitare la ricostruzione nella
Striscia, né a mantenere la sua parte del patto di unità nazionale, la
tensione era salita alle stelle.
Secondo alcune voci, da parte sua Hamas sarebbe stata determinata a
non cedere il potere a Gaza visto l’atteggiamento di Abbas e il fatto
che abbia recentemente ricevuto aiuti per milioni di dollari da una
potenza straniera, probabilmente il Qatar, che gli permetterebbe di far
fronte al pagamento degli stipendi fino alla fine dell’anno.
Quasi inspiegabilmente, date le premesse, invece le due fazioni hanno
raggiunto un accordo. I precedenti impongono una buona dose di cautela e
dubbi sulla sua reale entrata in vigore. Eppure, sia Hamas che Fatah
potrebbero aver modificato la propria posizione non per amor di patria,
ma perché in fondo questo accordo è vantaggioso per entrambi.
In primo luogo, permette ad Abbas di rimettere formalmente piede a
Gaza dopo ben sei anni da quando il tentativo di golpe di Mohamed
Dahlan, uomo forte di Fatah nella Striscia, aveva scatenato il
contro-golpe con cui Hamas aveva preso il potere. In secondo luogo,
permette ad Hamas di ridurre la pressione sul suo governo alle prese con
una difficile ricostruzione. Il movimento islamico avrebbe vagliato
l’ipotesi di formare un governo di unità nazionale alternativo, che
escludesse Fatah e includesse le fazioni di sinistra.
Dando formalmente fiducia all’Autorità palestinese, però, Hamas
rimette direttamente nelle mani di Abbas le responsabilità di fare
qualcosa, e velocemente, per la popolazione nella Striscia. Il
presidente palestinese dovrà tirar fuori ben più dell’apatia dimostrata
finora se vuole limitare il crollo della sua popolarità. Hamas, inoltre,
si disfa del fardello del governo come chiesto dalla sua ala più
militante, potendosi riconcentrare sulle proprie strutture,
organizzazioni caritatevoli e rete di associazioni. Quello che,
d’altronde, l’ha resa popolare.
Soprattutto, però, i palestinesi mettono pressione a Israele in vista
dei nuovi negoziati per il rinnovo del cessate il fuoco, posticipati
alla fine del prossimo mese. Il governo di Netanyahu dovrà fare qualche
passo in avanti o sperare che Hamas e Fatah tornino presto a litigare.
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