La testimonianza di Napolitano sulla trattativa stato-mafia non
avrà alcuna rilevanza processuale. Ma servirà molto a chi vuole gettare
ombra sul presidente e manovrare sulla sua successione.
Dunque i pubblici ministeri di Palermo avranno la
testimonianza che inseguono da tempo: il capo dello stato riceverà loro,
la corte d’assise e gli avvocati del processo sulla presunta trattativa
stato-mafia, per un’udienza a porte chiuse in Quirinale sulla quale i
giornalisti in tempo reale conosceranno (giustamente) anche il colore
delle sedie. Napolitano ripeterà ciò che ha già messo per iscritto, cioè
di non aver nulla di particolare da dire sullo scambio epistolare (nel
frattempo da lui reso pubblico) che ebbe con il suo consigliere Loris
D’Ambrosio, poi deceduto forse anche per lo stress causato dalla
campagna di delegittimazione orchestrata contro di lui per colpire la
presidenza.
Il castello di ipotesi costruito intorno alla trattativa è già
lesionato, a partire dall’archiviazione delle accuse contro il generale
Mori, scaturite dalla testimonianza di quel Massimo Ciancimino che da
eroe dell’antimafia è passato a essere, nei termini usati dagli stessi
magistrati, un teste «capace di mentire, costruire interi documenti,
letteralmente inventare».
Ma la parte processuale della vicenda di Palermo è sempre stata
strumentale ad altro. La carriera di Antonio Ingroia ne è l’emblema: da
pm a opinionista a leader politico, cambiando casacca ma non bersaglio. E
quando facendo informazione e battaglia politica si attaccano gli
stessi sui quali si indagava da magistrato, ecco che l’opera di
giustizia perde di credibilità.
Per questa ricorrente confusione di ambiti e significati, la
testimonianza di Napolitano avrà eco molto oltre un peso processuale
prevedibilmente nullo. Perché da anni un partito trasversale ha operato
per mascariare il capo dello stato, macchiarne l’immagine,
indebolirne il ruolo, minarne la strategia riformista. Cosa di meglio
allora del coinvolgimento personale, anche se solo come testimone, in un
processo noto al grande pubblico col sinistro e compromettente nome di
“trattativa stato-mafia”?
Ci sono segnali che avvertono come i prossimi mesi saranno pieni di
episodi del genere, e del resto ora anche i patti massonici sono stati
tirati fra le gambe dei partiti che saranno protagonisti di un’elezione
presidenziale che sarà il giro di boa della legislatura “renziana”.
Aspettiamo e vediamo, intanto ricordiamo all’Italia che se non siamo
un paese ormai totalmente controllato da poteri esterni lo dobbiamo
soprattutto al presidio di legalità e democrazia garantito dall’attuale
capo dello stato.
Nessun commento:
Posta un commento