Il premier disegna un oriizzonte più lungo per la sua azione, fino alla fine naturale della legislatura
Innanzi tutto, il piglio. Matteo Renzi ce ne ha messo tanto, stamane
alla camera, più delle ultime apparizioni in parlamento. Un piglio un
po’ “leopoldino” che gli serviva a comunicare, nel momento di maggiore
difficoltà, che non solo non intende rallentare ma che al contrario
vuole andare avanti mettendo altra carne al fuoco.
Per questo, la sceneggiatura renziana non prevede elezioni a breve.
La fretta sulla legge elettorale non va spiegata in altro modo se non
come l’urgenza di un atto di serietà da parte di un parlamento che è
stato “umiliato” dalla Corte Costituzionale. Ma quale legge elettorale?
Il premier ancora una volta considera un solo punto come irrinunciabile:
il ballottaggio. Anche le elezioni svedesi dimostrano che solo il
doppio turno garantiscono un governo certo.
L’orizzonte pertanto è la fine naturale della legislatura. Il 2018. I
famosi mille giorni, che scadranno un po’ prima, serviranno per
realizzare la mole imponente di proposte che Renzi oggi ha ribadito,
anzi, ha implementato. Lavoro (per superare «l’apartheid» dell’attuale
sistema di regole), fisco, giustizia (qui con l’insistita curvatura
“garantista”: un avviso di garanzia non può precludere l’attività di un
uomo politico o di un’azienda – indiretto rifermento alla vicenda
dell’Eni), naturalmente scuola e riforme istituzionali.
Ma anche digitalizzazione, diritti civili (non meglio precisati, però), riforma della governance della Rai. Tanta roba.
Un rilancio riformista in piena regola. Con il corollario
“schroederiano” della possibilità di perdere consenso pur di farle, le
riforme. L’orizzonte è lungo, il parlamento ora lo sa. Il premier si
aspetta una sorta di fiducia non formalmente espressa, per ripartire.
Perché ha bisogno anche lui di nuovo ossigeno.
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