Il giovane leader della Dc moriva cinquant’anni in un incidente
stradale di ritorno dal congresso del partito a Roma. Aveva solo 35 anni
ma la sua eredità politica resta incancellabile
Cinquant’anni fa moriva in un incidente stradale di
ritorno dal congresso nazionale della Democrazia cristiana di Roma, a
soli 35 anni, Nicola Pistelli, avvocato, giornalista, amministratore,
deputato e soprattutto carismatico leader politico.
Era esponente di primo piano della corrente della Base, insieme a Marcora, De Mita, Granelli e tanti altri giovani di allora.
Nonostante una vita così breve ha lasciato una eredità politica che
ha tracciato il percorso seguito poi da una generazione di giovani amici
che divennero ben presto ceto dirigente della politica italiana, la
cosiddetta “terza generazione” della Dc.
Per capire lo spessore di questo personaggio basta ripercorrere la
sua breve biografia: a 22 anni si laurea in giurisprudenza, a 23 fonda
la rivista San Marco, a 25 pubblica il saggio La Pira, La Pignone e la questione delle Cascine, a 26 fonda la rivista Politica
attorno a cui si formarono le nuove generazioni del cattolicesimo
democratico non solo italiano, ma anche francese, belga, basco,
catalano, polacco e di diversi paesi del Sud America, a 26 scrive il
saggio Dieci anni nella Democrazia cristiana che resta ancora oggi uno
strumento fondamentale per capire le dinamiche interne e le relazioni
esterne di questo partito. Nel 1960, diventerà assessore ai lavori
pubblici della prima giunta di centrosinistra di Firenze, il braccio
operativo del sindaco La Pira. Nel 1962 viene eletto nel congresso di
Napoli consigliere nazionale del partito e l’anno successivo deputato al
parlamento.
Basterebbe richiamare il breve curriculum che tracciò per il
capogruppo Zaccagnini all’inizio della legislatura, quando ogni
parlamentare esprime una propensione per l’assegnazione ai lavori nelle
commissioni, per cogliere l’originalità del personaggio: «Mi sono
laureato in diritto internazionale sostenendo la tesi “Differenza del
concetto di neutralità nella Società delle Nazioni e nelle Nazioni
Unite”, poi ho fatto l’avvocato per quattro o cinque anni con discreto
successo ma con crescente irritazione, perché evidentemente mi veniva
più naturale valutare la legge che limitarmi a chiederne l’applicazione.
…copro da tre anni la carica di assessore ai lavori pubblici, lavoro
che mi ha appassionato… Ho molto interesse per le situazioni di politica
estera (ndr: evidentemente viene da lontano l’interesse del figlio
Lapo, attuale vice ministro agli Esteri) e per gli studi storici, mentre
ne ho molto meno per la filosofia e i dibattiti ideologico…».
Di lui Giovanni di Capua, il suo primo biografo, dirà in modo icastico che è stato «un uomo libero, per far libero il prossimo».
Ciò che di lui colpisce è l’intensa e vasta produzione di pensiero:
la raccolta Scritti politici curata da Enrico De Mita è un tomo di mille
pagine, solo per avere un’idea del patrimonio che ci ha lasciato in
eredità. Esponente di una generazione che si collocava fra De Gasperi e
Dossetti, ebbe l’ambizione di andare oltre questi due giganti per porsi
il problema concreto di come risvegliare il «gigante addormentato», come
lui chiamava il retroterra cattolico, una potenzialità morale e
politica pressoché unica con cui la Dc non avrebbe mai dovuto perdere il
contatto, pur difendendo la sua autonomia e la laicità della politica,
oltreché per mettere in discussione quello che tutti considerano un
elemento di identità irrinunciabile della Dc stessa, l’interclassismo.
Pistelli capiva che questo era un valore, ma poteva rappresentare
anche un limite nella competizione virtuosa che egli immaginava con il
Pci nel definire un punto di riferimento per i ceti più poveri, gli
operai e i contadini, e nel mascherare il rischio concreto che la Dc
diventasse il partito ospite per eccellenza di quella borghesia italiana
che prima e dopo il fascismo si opponeva al vero cambiamento della
società: «La Democrazia cristiana è un partito satollo di piccoli
borghesi fino al gozzo. E satolli in nome dell’interclassismo».
Ma Pistelli era anche espressione di quella nuova classe dirigente
che sentiva su di sé il compito di inventare e costruire un sistema
istituzionale in grado di dare sostanza a un modello democratico
diverso da quello liberale, più ambizioso, più moderno, più capace di
coniugare il valore irrinunciabile della libertà con quello altrettanto
importante della giustizia e, anticipando il pensiero di Moro, dirà:
«Dopo aver detto tante volte che la democrazia è il regime in cui tutti
hanno diritti, bisogna dire anche che la democrazia è il regime in cui
tutti hanno responsabilità».
Questa è la ragione per cui, utilizzando in particolare il quindicinale Politica
(una rivista originalissima per quei tempi per la forma, lo stile, le
titolazioni e l’uso delle didascalie poste sotto fotografie artistiche
prese dalle migliori riviste internazionali di tendenza) si dedicò alla
formazione di nuove classi dirigenti per il suo partito (e l’ambizione
lo portava a immaginare anche per altri) sapendo che il nuovo si
costruisce solo sul terreno della solidità del pensiero e il coraggio
del rischio.
Di lui e degli altri della rivista Giovanni di Capua, riprendendo
l’immagine del giovane partigiano Teresio Olivelli («ribelli per
amore»), coniò quella di «ribelli per fede». Erano quelli infatti gli
anni in cui la Chiesa maturava lentamente l’idea di un nuovo Concilio
Ecumenico e si può ben dire che, se pur in piccola parte, anche l’azione
di questi giovani democristiani, che rischiavano tutti giorni la
scomunica pur di non tacere ciò che loro ritenevano coerente con la
propria fede, ha recato un contributo non marginale.
L’ambizione del coraggio, del cambiamento, di una società più libera e
più giusta, del distacco personale (era solito citare un pensiero di
Kennedy: «La moralità di un uomo politico è quella di fare le cose in
cui crede, qualunque siano le conseguenze per lui») furono le cifre di
una stagione politica a cui Pistelli dette un contributo incancellabile.
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