Corriere della Sera del 08/09/14
Pierluigi Battista
Quella scena così beffarda non ha
potuto sopportarla. E perciò Gian Carlo Caselli ha scritto una
lettera furente e puntigliosa al Fatto quotidiano per dire che la
fiction di Sabina Guzzanti nel film «La trattativa» è offensiva e
bugiarda. Caselli fu raffigurato nel «Divo» di Paolo Sorrentino
come un tipo vanesio e fatuo che si passa la lacca sulla sua chioma
candida. L’ex capo della Procura di Palermo ne fu ferito, ma
incassò. Oggi in una scena clou del film della Guzzanti appare come
uno sprovveduto che si fa abbindolare dai carabinieri di Mori per non
perquisire il covo di Riina. Un oltraggio. Uno sfregio che viene da
un mondo che pure dovrebbe apprezzare Caselli. Un’icona
dell’antimafia messa alla berlina da un film sui rapporti
«indicibili» tra mafia e Stato. Caselli non poteva ingoiare un
simile affronto. E sul Fatto di ieri lo ha dimostrato con
indignazione.
«Gentile direttore», ha scritto Caselli,
«raccontare con tecnica da “cabaret” la pagina grave e oscura
della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla Procura)
e della conseguente mancata perquisizione del covo di Riina è
offensivo e non può cancellare né far dimenticare gli importanti
positivi risultati ottenuti in quei sette anni di duro e pericoloso
lavoro degli Uffici giudiziari palermitani, in stretta collaborazione
con le forze di Polizia». E qui Caselli elenca con meticolosa
completezza i colpi inferti alla mafia negli anni della sua gestione
della Procura di Palermo: i boss arrestati, i processi conclusi, i
beni confiscati. Anche le indagini su Dell’Utri e su Andreotti, che
pure hanno suscitato molte controversie ma che rappresentano
altrettanti fiori all’occhiello di un’attività giudiziaria che
invece viene presentata dal «cabaret» della Guzzanti come un
addensarsi di ombre, una sequenza di cedimenti che avrebbe inquinato
e macchiato tutti gli anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Una
visione estremista e oltranzista che Caselli non può accettare e far
passare sotto silenzio, se non correndo il rischio di veder
appiattita e misconosciuta tutta la sua attività di contrasto alla
mafia.
Un rischio troppo grosso. Caselli credeva forse che nel
mondo del Fatto, l’organo di stampa che ha fatto della cosiddetta
trattativa Stato-mafia un cavallo di battaglia, un dogma, il momento
centrale del romanzo criminale che avrebbe fagocitato la politica
italiana, lasciando sola la Procura palermitana nella guerra santa
del Bene contro il Male, Caselli credeva dunque che la reputazione
sua e degli uffici giudiziari palermitani da lui diretti per ben
sette anni sarebbe stata difesa. E invece nell’intervista-spettacolo
che Sabina Guzzanti ha dato a Marco Travaglio durante la festa del
Fatto a Marina di Pietrasanta, il condirettore del giornale, mandata
sullo schermo la scena in cui Caselli si fa manovrare dai
«trattativisti» che non vogliono perquisire il covo di Riina, ha
derubricato il tutto a mera «licenza poetica»: giusto un colore un
po’ più acceso per dare pregnanza spettacolare e narrativa ai
fatti della storia. Troppo poco, deve aver pensato Caselli. Il quale,
negli ultimi tempi, ha pure avuto qualche motivo di attrito con il
mondo della sinistra di cui la Guzzanti, prima ancora del Fatto , è
espressione. L’attrito per l’inchiesta sui No Tav e per la scelta
di Magistratura democratica di pubblicare sull’agenda 2014 uno
scritto di Erri De Luca troppo «tenero» con la deriva violenta di
una parte del movimento. L’attrito, negli ultimi giorni, quando
Caselli ha ricordato il silenzio degli intellettuali compiacenti
mentre la magistratura combatteva contro il terrorismo. Attriti,
peraltro, compensati dall’appoggio che Caselli ha ricevuto dal
Fatto nella polemica che lo ha contrapposto a Pietro Grasso appena
eletto presidente del Senato. Ma che però non hanno cancellato le
tensioni che il tema della eventuale, problematica, immaginata
trattativa Stato-mafia ha generato, soprattutto quando la polemica
con il presidente della Repubblica si è fatta incandescente. Ora il
«cabaret» offensivo della Guzzanti, che chissà quali brecce di
sospetto aprirà tra gli spettatori più inclini a far propri gli
assunti della fiction guzzantiana, più ardentemente certi della
veridicità delle presunte nefandezze della ignominiosa «trattativa».
Uno strappo. Un’offesa. Non c’è concordia tra le forze del
Bene.
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