Marino s'è rafforzato in estate, ora deve gestire tante partite
diverse. Tra queste, quella del nuovo stadio, per mostrare autonomia
sotto la pressione di chi arriva per investire e chi, Caltagirone,
difende un'antica riserva di caccia.
All’inizio dell’estate per il sindaco di Roma sembrava solo
questione di misurare i giorni prima della fine dell’avventura: troppo
basso il gradimento in città, troppo ostile l’ambiente politico.
Un buon rimescolamento in giunta, l’intervento di tutela da parte di
Renzi, e oggi Marino pare più solido. Se non ancora con i cittadini,
almeno coi partiti il rapporto pare raddrizzato. Finché durerà.
La Capitale verrà presto investita, più duramente di qualsiasi altra
città, dall’onda di rimbalzo della rottura tra il governo e l’universo
della pubblica amministrazione, a Roma una vera galassia. Ma prima
ancora, le virtù del ceto politico capitolino si stanno misurando in
partite simboliche della capacità di gestire rapporti con poteri deboli,
forti o fortissimi: trovare il giusto equilibrio tra gli eroici giovani
che cercano di tenere aperti i luoghi della cultura, come il cinema
America, e le logiche di mercato che li chiudono; restituire decoro alle
strade del centro limitando l’espansione selvaggia dei ristoratori,
sapendo però che appoggia qui tanta parte dell’economia cittadina;
ridare funzionalità minima ai disastrati servizi dei trasporti e della
raccolta dei rifiuti. Infine (anche se le grane sarebbero diecimila
altre) dimostrare che dopo decenni di paralisi si può tornare a
investire in grandi opere, attirando capitali di cui c’è bisogno
assoluto, e qui la storia è quella del nuovo stadio del calcio voluto
dagli americani proprietari della Roma.
Dopo una trattativa durissima, la giunta ha dato un via libera
parziale. L’amministrazione s’è dimostrata abile, ha strappato molto
agli americani e al loro alleato, il costruttore Parnasi: dovranno
pagare più del previsto e dare più garanzie. Com’è giusto, in una città
dove è stato versato tanto cemento, pagato caro e poi abbandonato.
La fatica maggiore però Marino l’ha dovuta fare per tenersi neutrale
nella guerra che al progetto ha dichiarato il vero potere forte
cittadino, il costruttore Caltagirone, mobilitando il suo giornale e il cotè politico (prevalentemente Pd) sul quale sa di poter contare.
Più che i sogni dei tifosi o i calcoli degli americani, si tratta
alla fine di garantire il principio di un mercato aperto, non più
riserva di caccia dei soliti noti. Marino ha retto alla prova, presto la
palla passerà a Zingaretti in Regione. È una storia locale, certo, ma
anche un bel test, a proposito di “cambia verso”, della nuova autonomia
che la politica rivendica e deve mostrare di meritare.
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