Corriere della Sera 24/09/14
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Sono tre i gruppi dell’estremismo
jihadista presi di mira dai raid della coalizione guidata dagli
americani che dall’altra notte colpiscono la Siria. In tutto
sarebbero morti almeno 120 guerriglieri, circa 300 feriti, oltre a
una trentina di civili uccisi. Ma i bilanci delle vittime restano
confusi. Colpiti veicoli armati, posti di blocco, centri comando,
fabbriche e depositi di munizioni, campi di addestramento. Il primo
gruppo è quello stesso Stato islamico, l’autoproclamato Califfato,
che sta all’origine dell’intervento militare americano a partire
dall’8 agosto scorso in Iraq. Sino a pochi giorni fa i suoi
obiettivi dichiarati erano regionali, puntava a creare una nuova
entità politica a cavallo dei confini tra Iraq e Siria ispirata a
una lettura fondamentalista e intollerante dell’islam sunnita. Sue
vittime locali erano state tutte le minoranze non sunnite incontrate
sul campo: sciiti, curdi, cristiani, yazidi, drusi e chiunque
cercasse di opporsi. Sino a due giorni fa i raid Usa ne avevano
bloccato l’avanzata verso Bagdad e in direzione dell’enclave
autonoma curda nel Nord, oltre che contribuito a limitare le
operazioni di «pulizia etnica» antisciite.
Ora sotto attacco
sono invece i centri vitali dello Stato islamico in Siria. Prima di
tutto la cittadina di Raqqa, considerata la vera capitale dei
jihadisti nel Nord-est del Paese. Qui hanno i loro tribunali
islamici, vi si trovano le celle degli ostaggi occidentali, qui per
mesi e mesi hanno fatto sfilare trionfanti le armi e i prigionieri
catturati nelle battaglie contro l’esercito di Bashar Assad, le
altre milizie rivali e persino le unità regolari irachene. Qui
avrebbero tra l’altro condotto anche centinaia di giovani donne
yazide ridotte alla condizione di schiave. Altri obiettivi bombardati
sono le zone petrolifere attorno alla cittadina di Deir el-Zour,
catturate ai militari filo-Assad già un anno fa e diventate una
delle fonti di arricchimento più importanti per i dirigenti del
Califfato. Pare che uno dei suoi massimi leader militari, noto come
Abu Omar al Shishani, intaschi quotidianamente circa un milione di
dollari dal greggio estratto e venduto tramite intermediari sia a
Damasco sia contrabbandato sul mercato turco. Ovvio che adesso questo
traffico diventa praticamente impossibile. I missili alleati hanno
colpito inoltre la zona di Hasakah, da dove i jihadisti cercano di
attaccare le enclave curde dell’estremo Nord-est. Infine è stato
devastato il centro frontaliero di Abu Kamal, ganglio di passaggio
vitale tra le regioni sunnite siriane e quelle irachene.
Il
secondo gruppo di estremisti sunniti attaccati in Siria è noto come
«Khorasan», una formazione poco conosciuta, che la Cia indica come
estremamente pericolosa. Contro di loro l’aviazione Usa ha lanciato
ben otto raid. «In modo separato gli Stati Uniti hanno agito per
impedire attentati imminenti contro interessi americani e occidentali
condotti da un gruppo di qaedisti inveterati noti come Khorasan» si
legge nel comunicato del Pentagono. L’intelligence, secondo la Cnn
, temeva tra l’altro l’uso di bombe su aerei. La loro base
principale si trova nei quartieri orientali di Aleppo mischiata a
quelli tenuti dalle brigate di Al Nusra, il terzo gruppo preso di
mira e a sua volta molto prossimo ad Al Qaeda. Nei loro comunicati
gli americani non lo menzionano, forse per non creare attriti con gli
alleati arabi, specie Arabia Saudita e Qatar, che sono noti per aver
finanziato Al Nusra. Un particolare che mette in luce le
contraddizioni interne alla coalizione alleata. Al Nusra ha però una
dimensione regionale: mira a sconfiggere il regime di Damasco.
Khorasan è invece pan-islamico, vuole esportare la rivoluzione. I
suoi militanti sono quasi tutti stranieri.
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